Papa – udienza generale 28 12 2016

Papa: “Niente ‘pie finzioni’… lagnarsi, arrabbiarsi con Dio è un modo di pregare”

La speranza è come un filo rosso che lega i profeti agli apostoli ed arriva poi fino a noi. Si è aperta con una citazione di San Paolo ed è proseguita con la rievocazione della vicenda di Abramo, la catechesi di papa Francesco in occasione dell’ultima udienza generale del 2016.

È infatti proprio l’Apostolo delle genti a ricordare come Abramo credette “contro ogni speranza” (Rm 4,18) nella nascita di un figlio, “tanto era inverosimile quello che il Signore gli stava annunciando, perché egli era anziano e sua moglie era sterile e non c’era uscita, ma lo disse Dio e lui credette”, ha sottolineato il Pontefice.

Abramo pone in essere due atti che mostrano come la sua fede si apra ad una “speranza in apparenza irragionevole”; in primo luogo crede a Dio, quando gli promette un figlio, “nonostante il grembo di Sara fosse ormai come morto”; si mette poi in viaggio, accettando di “lasciare la sua terra e diventare straniero”. Abramo ha saputo andare “al di là dei ragionamenti umani, della saggezza e della prudenza del mondo, al di là di ciò che è normalmente ritenuto buonsenso, per credere nell’impossibile”, ha aggiunto il Santo Padre.

Anche per Abramo, però, arrivano le prove e le “crisi di sconforto”: lascia la sua terra come ordinatogli da Dio ma intanto il figlio tanto atteso non arriva e “il grembo di Sara rimane chiuso nella sua sterilità”. Allora “Abramo si lamenta con il Signore, lamentarsi con il Signore è un modo di pregare perché lui è Padre”.

Nel nuovo dialogo con Abramo, Dio gli parla “di notte” e anche “nel cuore di Abramo c’è il buio della delusione, dello scoraggiamento, della difficoltà nel continuare a sperare in qualcosa di impossibile”. Ormai è convinto, per via della sua età avanzata, che “non ci sia più tempo per un figlio, e sarà un servo a subentrare ereditando tutto”.

Eppure, il suo lamentarsi è “una forma di fede, è una preghiera”, infatti, ha spiegato il Papa, “la fede non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare, la speranza non è certezza che ti mette al sicuro dal dubbio e dalla perplessità, tante volte la speranza è buio ma la speranza ti porta avanti”.

Avere fede, ha aggiunto Francesco, “è anche lottare con Dio, mostrargli la nostra amarezza, senza ‘pie’ finzioni” e può anche comportare il ritrovarsi “arrabbiato con Dio”. Avere speranza, pertanto, “è anche non avere paura di vedere la realtà per quello che è e accettarne le contraddizioni”.

Quando poi Abramo smette di chiedere un figlio e, semplicemente, si rivolge a Dio perché lo aiuti a “continuare a sperare”, il Signore risponde mantenendo la sua “inverosimile promessa: non sarà un servo l’erede, ma proprio un figlio, nato da Abramo, generato da lui”. Dio gli dice: “Guarda in cielo e conta le stelle […] Tale sarà la tua discendenza” (Gen 15,5); lo porta “fuori dalla tenda”, ovvero “dalle sue visioni ristrette” e “gli mostra le stelle” che “tutti possono vedere ma per Abramo devono diventare il segno della fedeltà di Dio”.

“Se anche a noi rimane come unica possibilità quella di guardare le stelle, allora è tempo di fidarci di Dio. Non c’è cosa più bella, la speranza non delude!”, ha poi concluso il Santo Padre.

Posted by Luca Marcolivio on 28 December, 2016

udienza-generale-28-12-2016




È Natale, Signore. O è già subito Pasqua?

PREGHIERA di L. Serenthà

È Natale, Signore. O è già subito Pasqua?
Il legno del presepio è duro, come il legno della croce.
Il freddo ti punge quasi corona di spine.
L’odio dei potenti ti spia e ti teme. Fuga affannosa nella notte.

Sangue innocente di coetanei, presagio del tuo sangue.
Lamento di madri desolate, eco del pianto di tua Madre.
Quanti segni di morte, Signore, in questa tua nascita.

Comincia così il tuo cammino tra noi, la tua ostinata decisione di essere Dio, non di sembrarlo. […]
Dio che ti nascondi, Dio che non sembri Dio, Dio degli stracci e delle piaghe, Dio dei pesi e delle infamie, io ti amo.
Non so come dirtelo, ho paura di dirtelo, perché talvolta mi spavento e ritiro la parola; eppure sento che devo dirtelo: io ti amo.

In questa possibilità di amarti, che la tua povertà mi schiude, divento veramente uomo.
Amo gli stracci, le piaghe, i pesi di ogni fratello. Piango le infamie di tutto il mondo. Scopro di essere uomo, non di sembrarlo.

Il tuo Natale è il mio natale.
Nella gioia di questo nascere, nello stupore di poterti amare, nel dono immenso di vivere insieme, io accetto, io voglio, io chiedo che anche per me, Signore, sia subito Pasqua.

 

 

Luigi Serenthà fu formato nei seminari milanesi e ordinato sacerdote dal cardinale Giovanni Battista Montini il 28 giugno 1962. In seguito, risiedendo presso il Pontificio seminario lombardo, studiò teologia dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana. Ottenne il dottorato solo molto più tardi quando venne data alle stampe la sua tesi, Servi di tutti. Papa e vescovi a servizio della Chiesa secondo s.Gregorio Magno (Marietti, Torino 1980).
Iniziò ad insegnare in seminario nel 1964, dedicando il suo impegno al rinnovamento dei trattati (in particolare cristologia, teologia trinitaria e antropologia teologica) a partire dalle indicazioni del Concilio Vaticano II: di questa attività resta traccia nella regia del Dizionario teologico interdisciplinare. Fu protagonista della nascita della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, rivestendo il ruolo di pro-segretario (1972-1981) e di direttore di sezione del ciclo istituzionale (1981-1983).
Dal 1967 seguì come assistente spirituale l’Istituto secolare delle Piccole apostole della Carità e le attività de “La nostra famiglia”: in questa veste, nel 1979 promosse un convegno di studi su don Luigi Monza, il fondatore delle Piccole apostole.
Nel 1981 il cardinale Carlo Maria Martini, di cui divenne uno dei più stretti collaboratori e ascoltati consiglieri, gli affidò l’incarico di guidare l’Istituto sacerdotale Maria Immacolata (che segue la formazione permanente dei preti del primo quinquennio di ordinazione) e la Scuola vocazioni adulte. Nel 1983 lo nominò rettore maggiore del seminario arcivescovile di Milano. Si fece promotore di una revisione delle linee educative del seminario mediante l’assemblea di tutti gli educatori a Barzio nel 1984.
Morì il 28 settembre 1986 appena 48enne, per tumore.




Al Museo Diocesano Albrecht Dürer

E VI INVITA A VISITARE L’ADORAZIONE DEI MAGI, CAPOLAVORO DI ALBRECHT DÜRER,
prestito dalla Galleria degli Uffizi di Firenze, in esposizione sino al 5 febbraio 2017. __ __ __ __ __ __ __ __ __ __

 

Orari di Apertura

MAR-DOM: 10.00-18.00
La biglietteria chiude alle ore 17.30
LUN: Chiuso (Eccetto Festivi)

Albrecht Dürer, straordinario protagonista del Rinascimento tedesco ed europeo, esegue l’Adorazione dei Magi nel 1504  alla soglia del suo secondo viaggio in Italia. Ormai artista maturo ed affermato, intorno al 1505 sentirà l’esigenza di aggiornarsi sulle ultime novità proposte del Rinascimento italiano. L’Adorazione riprende uno schema iconografico tradizionale: la Vergine mostra il bambino ai tre magi, raffigurati come uomini di etnie diverse e tre differenti età. Il maestro tedesco interpreta la scena con fantasia e raffinatezza, mostrando grande originalità sia nella resa espressiva e negli atteggiamenti dei personaggi sia nella definizione degli abiti, degli oggetti e dello sfondo. In quest’opera confluiscono tutte le sue conoscenze, la sua  inesauribile curiosità, la sua volontà di aggiornamento sulle novità del Rinascimento italiano che già aveva avuto modo di vedere direttamente nel suo soggiorno italiano, avvenuto degli anni novanta del Quattrocento. L’artista si ritrae nella figura del Re al centro, con barba e lunghi capelli, con abiti sontuosamente decorati. Si riconosce infatti la sua fisionomia, già nota grazie al bellissimo Autoritratto con guanti conservato al Museo del Prado di Madrid o all’Autoritratto con pelliccia dell’Alte Pinacotek di Monaco. L’esposizione, che segna il ritorno dell’iniziativa “Un capolavoro per Milano”, si completa con un percorso nella cappella dei Magi nella basilica di Sant’Eustorgio, dove eccezionalmente viene esposto il reliquiario dei Magi.  Le reliquie, donate a Sant’Eustorgio stesso dall’imperatore di Costantinopoli, vennero trafugate dagli uomini di Federico Barbarossa e poi, in parte, restituite all’inizio del Novecento, rimanendo nei secoli oggetto di una devozione ininterrotta da parte dei Milanesi.

 

maggiori informazioni:  www.museodiocesano.it

 

 




Tempo di Natale – Parola

Lettura del Vangelo secondo Luca 1, 26-38a

In quel tempo. L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».




Tempo di Natale – Carità

Il pane spezzato, è più buono dell’aragosta“.

Con questa provocazione Caritas Ambrosiana lancia la quarta edizione dell’iniziativa di condivisione per le feste natalizie. L’appello dell’organismo diocesano è rivolto ai milanesi e agli abitanti della diocesi ambrosiana affinché nei giorni di festa aprano le porte di casa e condividano pranzi e cene, più o meno ricche e raffinate, con chi si trova in difficoltà.
Sono graditi inviti a tavola per Natale, Capodanno e l’Epifania, ma sono ben accetti anche per i giorni che coprono l’intero periodo di festa. Saranno gli operatori di Caritas Ambrosiana a girare l’offerta alle persone che usufruiscono dei servizi di assistenza e a comunicare il nome dell’invitato a chi avrà aderito all’iniziativa. I cittadini che intendono partecipare a “Il pane spezzato” devono dare la propria disponibilità, inviando una mail al Servizio Accoglienza Milanese entro mercoledì 21 dicembre: sam@caritasambrosiana.it.
Gli operatori faranno giungere gli inviti ai propri utenti e richiameranno le famiglie per concordare i dettagli. L’ultimo Rapporto Povertà di Caritas Ambrosiana ha messo in luce proprio l’aumento della grave emarginazione. In un solo anno, tra il 2014 e il 2015, è cresciuto del 21,3% il numero dei senza tetto che si sono rivolti al SAM, il Servizio Accoglienza Milanese. Un dato che colpisce anche perché l’incremento riguarda gli italiani, essendo dedicato a loro questo servizio specifico, e che trova conferma nell’aumento complessivo dei nostri connazionali che ormai rappresentano il 40% degli utenti dei centri di ascolto parrocchiali. L’impoverimento è confermato anche a livello nazionale dall’Istat secondo cui proprio nel 2015 è stato registrato il picco più alto degli ultimi 10 anni di povertà assoluta con4,5 milioni di individui (1 milione e 582mila famiglie) che non riescono ad accedere al paniere di beni e servizi essenziali.

Milano, 13 dicembre 2016




Tempo di Natale – Liturgia

Sarebbe bello se le parole rivolte dall’angelo a Maria così dense di tenerezza nell’annunciarle: il Signore è con te! potessero giungere nelle nostre case, ai nostri ammalati, a chi cerca consolazione e pace, a chi cerca lavoro, ma anche nelle case di Aleppo, delle città dell’Afghanistan, della Nigeria… nelle case di innumerevoli famiglie e popolazioni che nel mondo cercano giustizia, sono nella prova, nel dolore, cui manca il futuro.

Preghiamo insieme in questo periodo prima del S. Natale affichè tutti possiamo sperimentare la presenza e la tenerezza di Dio e che l’esempio di Maria ci aiuti a dire sempre sì alla Sua chiamata.
L’omelia di S. Ambrogio (che segue) ci guiderà nella nostra preghiera.
Dalle Omelie di sant’Ambrogio
“Per credere a un parto così incredibile e inaudito occorreva che Maria lo udisse chiaramente proclamare. Una vergine che dà alla luce un figlio è il suggello di un mistero divino, non umano. Maria aveva letto nel profeta Isaia: Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio. (Is 7,14) Maria credeva già al compimento della profezia, ma non conosceva in che modo si sarebbe avverata, perché ciò non era stato rivelato nemmeno a un profeta importante come Isaia. Infatti l’annuncio di un tale mistero poteva proferirlo soltanto la bocca di un angelo.
Oggi si ascoltano per la prima volta le parole: Lo Spirito Santo scenderà su di te. Appena Maria ascolta questa parola così nuova, vi crede. Perciò risponde: Eccomi, sono la serva del Signore. Avvenga di me quello che hai detto. Notate l’umiltà e la dedizione di Maria: mentre viene scelta per madre, si dichiara serva del Signore e non si lascia esaltare dall’improvvisa promessa. Non rivendica nessun privilegio, che pur le viene da un dono così grande, ma semplicemente dice che compirà quanto le viene comandato.
Era necessario che Maria desse prova di umiltà, poiché doveva mettere al mondo colui che è mite e umile per eccellenza. Notiamo ancora la sua obbedienza e il suo desiderio. Dicendo: Eccomi, sono la serva del Signore, ella si mostra pronta a servire; e dicendo: Avvenga di me quello che hai detto, esprime a che cosa ella anela.”




Un’offerta fantastica! Ping pong per tutti!

Vuoi imparare a giocare a ping pong?
Vuoi migliorare la tua tecnica?

Vuoi stupire i tuoi amici con schiacciate ed effetti speciali?
Dovunque andrai, al mare, a scuola, in oratorio, in montagna …
ci sarà sempre un tavolo dove ti potrai divertire con i tuoi amici! 

Qualunque sia la tua età … non perdere questa occasione!
Due allenatori bravissimi e simpatici ti aspettano per concordare giorni e orari.

Contattali!

 

 

 

 

 

 




Compleanno di Papa Francesco – l’omelia

Nessuna celebrazione solenne, nessun festeggiamento particolare. Francesco celebra il traguardo degli 80 anni con una Messa ristretta, alle prime ore del mattino, concelebrata nella Cappella paolina della Basilica vaticana insieme ai cardinali residenti a Roma.

A loro il Papa, in un’omelia tutta a braccio, parla di memoria e gratitudine, di grazia e di peccato, di gioia e fedeltà; quindi li ringrazia “perché – dice – mi avete voluto accompagnare in questo giorno”. Poi confessa: “È da alcuni giorni che mi viene in mente una parola che sembra anche brutta e spaventa anche: vecchiaia”.

Sarà per il De Senectute di Cicerone ricevuto in regalo; in ogni caso Bergoglio afferma: “Ricordo quello che vi ho detto: la vecchiaia è sete di saggezza speriamo anche per me. Mi è venuto in mente anche quel poema credo di Plinio che parla della vecchiaia di Tacito. La vecchiaia ci viene addosso, arriva in un colpo. Ma è anche una tappa della vita, è per dare vita, gioia e speranza. La vecchiaia è tranquilla, religiosa ma anche feconda”.

“Pregate perché la mia sia così: tranquilla, religiosa e feconda e anche gioiosa”, domanda il Papa ai porporati come dono per il suo compleanno. Al contempo esorta a non perdere “la grazia della memoria”, fulcro della giornata liturgica di oggi che “incomincia con le grandi antifone”. “È il momento forte che ci porta avanti verso il Natale. La liturgia ci fa fermare un po’” e la Chiesa “ci dice: fermati e fa memoria. Guarda indietro. Guarda il cammino, la memoria”, sottoline il Santo Padre.

È questo un “atteggiamento deuteronomico che dà all’anima tanta forza”, perché “è proprio dell’amore non dimenticare, avere sempre sotto gli occhi tanto bene che abbiamo ricevuto. È proprio dell’amore guardare la storia: da dove veniamo, i nostri padri, i nostri antenati, il cammino della fede”.

Non bisogna dimenticare infatti di essere stati “eletti”, rimarca il Pontefice: “Ci hanno fatto una promessa. Ci hanno detto cammina nella presenza e sii irreprensibile come il nostro Padre. Una promessa che sarà piena alla fine, ma che consolida con ogni alleanza che noi facciamo col Signore. Alleanza di fedeltà. E ci fa vedere che non siamo noi stati a eleggere. Ci fa capire che tutti noi siamo stati eletti”.

Dunque “guardare indietro” aiuta ad “andare meglio avanti”: “Questa memoria ci fa bene perché rende anche più intensa questa vigilante attesa verso il Natale, ma un giorno quieto”, afferma Papa Francesco. Come dice il Vangelo, ripercorrendo la via dei ricordi passati “sempre troviamo grazia e peccato”, “momenti di grande fedeltà al Signore, di gioia nel servizio e qualche momento brutto di infedeltà e di peccato che ci fa sentire il bisogno della salvezza”.

In fin dei conti, “questa è la vita cristiana”, sottolinea Papa Bergoglio, un continuo alternarsi di grazia e peccato. Anzi proprio questa “è la nostra sicurezza, perché quando noi abbiamo bisogno di salvezza confessiamo la fede”, dice il Pontefice. “Noi facciamo una confessione di fede: io sono peccatore ma tu puoi salvarmi tu mi porti avanti. E così si va avanti nella gioia della speranza nell’Avvento”. E anche nella certezza che “il Signore è lì con la mano tesa per alzarti e andare avanti”.

Allora, in questo cammino di vigilante attesa e preparazione all’“incontro definitivo” con il Signore, non bisogna mai farsi trovare sprovveduti della “grazia della memoria”. Ma dimenticarsi “di guardare indietro tutto ciò che il Signore ha fatto per noi, per la Chiesa, per la storia della salvezza”, raccomanda il Papa; così si capisce “perché la Chiesa ci fa leggere questo passo della genealogia di Gesù che può sembrare un po’ noioso ma c’è la storia di un Dio che ha voluto camminare col suo popolo e farsi uomo, uno di noi”.

“Che il Signore ci aiuti a riprendere questa grazia della memoria”, è l’auspicio del Vescovo di Roma. È “difficile”? Sì. È “noioso”? Può darsi. “Ci sono tanti problemi”? Anche. Ma la storia della Lettera agli Ebrei offre una bella frase per rispondere alle lamentele: “Sta tranquillo, ancora non sei arrivato a dare il sangue”, rammenta Francesco con un po’ di umorismo. Anche quello serve “per aiutarci ad andare avanti”. 

Sabato 17 dicembre 2016
Nel rito romano: San Modesto, 3.a Avvento – P
Venga il tuo Regno di giustizia e di pace
Liturgia: Gen 49,2.8-10; Sal 71; Mt 1,1-17




Santa Marta: “A volte il diavolo …”

Anche Giovanni Battista aveva dei dubbi; d’altronde “i grandi si possono permettere di dubitare, perché sono grandi”, anzi “è bello” che lo facciano perché “sono sicuri della vocazione”. Ma ci sono anche alcuni che “ogni volta che il Signore fa vedere loro una nuova strada del cammino entrano nel dubbio: ‘Ma questo non è ortodosso, questo è eretico, questo non è il Messia che io aspettavo’. Il diavolo fa questo lavoro e qualche amico anche aiuta, no?”.

Ogni riferimento è puramente casuale nella omelia di oggi del Papa a Santa Marta, tutta incentrata sulla figura del Battista. Il suo esempio è “un bel programma di vita cristiana”, sottolinea il Pontefice: Giovanni, l’ultimo della schiera di credenti cominciata con Abramo, è “quello che predica la conversione, quello che non usa mezze parole per condannare i superbi, quello che alla fine della vita si permette di dubitare”.

Egli non era un uomo “vestito con abiti di lusso” come “qualcuno negli episcopi”, non era neanche “una canna agitata al vento”, bensì “un profeta”, anzi “più che un profeta”, “l’ultimo dei profeti” perché dopo di lui c’è il Messia. Viveva nel deserto, predicava e battezzava; diceva la verità a farisei, sacerdoti e dottori della legge, ma accoglieva la gente con “amore pastorale”, comprendendo il fatto che per molti si trattasse di un “primo passo”.

Insomma, Giovanni Battista era “un uomo fedele a quello che il Signore gli aveva chiesto”, afferma Papa Francesco, e proprio perché fedele era “un grande”. Questa grandezza traspariva nella sua predicazione: “Predicava forte – sottolinea Bergoglio – diceva delle cose brutte ai farisei, ai dottori della legge, ai sacerdoti, non diceva loro: ‘Ma cari, comportatevi bene’. No, semplicemente diceva loro: ‘Razza di vipere’. Così semplicemente.… Non andava con sfumature. Perché si avvicinavano per controllare e per vedere ma mai col cuore aperto: ‘Razza di vipere’. Rischiava la vita, sì, ma lui era fedele. Poi a Erode, in faccia, gli diceva: ‘Adultero, non ti è lecito questo vivere così, adultero!’. In faccia!”.

Mai nessuno potrebbe comportarsi così ai nostri tempi: “Se un parroco oggi nell’omelia domenicale dicesse: ‘Fra voi ci sono alcuni che sono razza di vipere e ci sono tanti adulteri’, di sicuro il vescovo riceverebbe lettere di sconcerto: ‘Ma mandate via questo parroco che ci insulta’”, osserva il Papa.

Giovanni Battista, invece, continuava a “insultare” perché “fedele alla sua vocazione e alla verità”. Allo stesso tempo con la gente era comprensivo: ai pubblicani, peccatori pubblici perché sfruttavano il popolo, diceva: “Non chiedete più del giusto”. “Incominciava da poco. Poi vedremo. E li battezzava”, evidenzia Francesco. Anche ai soldati, “i poliziotti” di allora, chiedeva di non minacciare né denunciare nessuno e di accontentarsi del loro stipendio. “Questo vuol dire non entrare nel mondo delle tangenti”, precisa il Pontefice, “quando un poliziotto ti ferma, ti fa la prova dell’alcol, c’è un po’ di più: ‘Eh, no, ma… Quanto? Dai!’”.

Questo no: Giovanni battezzava i peccatori perché vedeva da parte loro un “minimo passo avanti” e “sapeva che con questo passo poi il Signore faceva il resto”. Infatti, tutti si convertivano. Quindi lui era anche “un pastore che capiva la situazione della gente e l’aiutava ad andare avanti col Signore”.

Ma, nonostante questa grandezza, nonostante questa forza, anche il Battista “aveva momenti bui, aveva i suoi dubbi”. In carcere, ad esempio, rammenta il Pontefice, egli dubita di Gesù “perché era un Salvatore non come lui lo aveva immaginato”. Invia quindi due discepoli a chiedergli se fosse proprio Lui il Messia. E la risposta che ottiene è una risposta chiara, sottolinea il Papa: “I ciechi riacquistano la vista, i sordi odono, i morti risuscitano”.

Il Papa conclude l’omelia esortando a chiedere a Giovanni “la grazia del coraggio apostolico di dire sempre le cose con verità, dell’amore pastorale, di ricevere la gente col poco che può dare, il primo passo. Dio farà l’altro”. Anche bisogna chiedere “la grazia di dubitare”: “Tante volte, forse alla fine della vita, si può uno chiedere: ‘Ma è vero tutto quello che io ho creduto o sono fantasie?’, la tentazione contro la fede, contro il Signore”.

“Che il grande Giovanni – è la preghiera di Francesco – che è il più piccolo nel regno dei Cieli, per questo è grande, ci aiuti su questa strada sulle tracce del Signore”.




L’omelia e le foto!

Dal 28 al 31 nella nostra parrocchia ci sono stati giorni di festa e celebrazioni e attività e momenti di comunione fraterna in occasione dell’anniversario della morte di don Bosco, il 31 gennaio.
Il 29 è stata una bellissima giornata, nel segno della comunione fraterna e dell’allegria. L’omelia di don Virginio e le prime foto …

Ci vorrebbe ancora don Bosco
(don Virginio)

Milano 29 gennaio 2017

Ogni Santo che il Signore suscita non è soltanto un esempio di come l’uomo possa realizzare in pienezza il progetto che Dio ha su di lui, ma è anche una parola, un messaggio che Dio rivolge a noi uomini distratti. Suscitando Madre Teresa è come se Dio avesse voluto ricordare a ciascuno di noi la sua predilezione per gli ultimi. Suscitando don Bosco Dio ci ricorda che i piccoli e i giovani sono amati da Lui e che occuparsi di loro è caro al Signore.
Gesù, ai suoi discepoli preoccupati perché i piccoli fanno perdere tempo al Maestro e sembrano distoglierlo da cose ben più importanti dice loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, chi accoglie un bambino in nome mio accoglie me.”
L’invito del Signore è ad accogliere sempre i piccoli, gli ultimi, i semplici.
Accogliere. Una parola oggi molto usata. Non altrettanto facile da capire e da vivere. Per don Bosco accogliere significava non tanto aspettare che i ragazzi e giovani andassero a cercarlo, piuttosto andare a trovarli là dove essi vivevano, sulla strada, orfani, soli, in mezzo a situazioni di vita spesso caratterizzati dalla devianza con problematiche familiari e sociali complesse e contraddittorie.
Chissà cosa provava quel giovane prete pieno di entusiasmo quando incontrava questi giovani allo sbando, violenti e col volto triste. E’ la visita al carcere minorile di Torino che lo lascia sbigottito «Vedere turbe di giovanetti sull’età da 12 a 18 anni; sani, robusti, di ingegno sveglio; ma inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentare di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire».
E’ quello che capita anche a me oggi. Penso capiti anche a voi.
Basta fare un giro di sera intorno alla Stazione Centrale per rendersene conto. Tantissimi ragazzi e ragazze allo sbando.
Qualcuno potrebbe pensare: “Oggi però non siamo più ai tempi di don Bosco. Oggi la situazione è radicalmente diversa.”
Si può finire col pensare ingenuamente che don Bosco abbia avuto via facile, solo applausi, riconoscimenti. In realtà ha pagato di persona la sua scelta di accogliere nel senso evangelico del termine. Era sempre di corsa, non sapeva dove radunare i suoi ragazzi perché lo cacciavano da ogni parte: i suoi ragazzi disturbavano, gridavano, facevano chiasso. Non aveva soldi nemmeno per dar loro da mangiare. Qualche bravo prete lo aiutava dandogli qualche spicciolo, ma, il più delle volte non bastavano e bussava a tante porte per chiedere aiuto.
Una vita non facile. Ma che non lo ha mai scoraggiato.
Voleva a tutti i costi mostrare loro che la via del bene è più bella di quella della strada e dei luoghi dominati dalla violenza subita e dalla trasgressione. Desiderava far capire loro che è solo una vita buona, onesta che rende davvero felici. E che Dio è la strada giusta.
“ il primo impegno del demonio consiste nel farci credere che stare con il Signore significhi condurre una vita triste e malinconica, lontana da ogni divertimento. Non è così, si può essere al tempo stesso cristiani e allegri.”
Nessun giovane e ragazzo era considerato perduto, irrecuperabile, perfino chi aveva commesso colpe gravi ed era in carcere non veniva trascurato. I suoi “ragazzacci”, come li chiamavano i suoi confratelli sacerdoti, erano conquistati dal cuore prima che da servizi.
Non sempre e non con tutti ha funzionato. Anche don Bosco una sera, dopo che gli avevano rubato le coperte e se ne erano andati, cercò di consolare sua mamma Margherita sconfortata. “Giovanni, qui non ce la possiamo fare”. E don Giovanni indica alla mamma il crocifisso. Quella Santa mamma, analfabeta ma sapiente, ritornò a pulire la verdura e a preparare la cena per i ragazzi.
Ebbene, oggi che farebbe don Bosco di fronte a un mondo giovanile che è in serie difficoltà?
Cosa farebbe di fronte al nostro mondo adulto che è ancora maggiormente in difficoltà?
Emerge oggi l’incapacità del mondo adulto di misurarsi con le istanze autentiche dell’universo giovanile. Da una parte infatti ci scandalizziamo per episodi tragici che hanno protagonisti dei ragazzi, vedi l’efferato omicidio di Ferrara, e dall’altra si assiste alla rinuncia di tanti adulti ad educare. Situazione ben espressa da un testo sulla devianza giovanile di paolo Crepet non privo di spunti interessanti:

Questa società non ama più i suoi ragazzi. […]Distruggiamo i loro parchi, gli lasciamo qualche sala giochi, gli vendiamo iphone sempre più tecnologici perché si possano ancor più isolare, gli regaliamo macchine velocissime per poi piangere sui loro incidenti del sabato sera. Gli vendiamo birre e pilloline eccitanti e poi firmiamo appelli per chiudere le discoteche un paio d’ore prima. […]Perché ci meravigliamo, allora, quando vediamo questi ragazzi già così vecchi, bruciati perfino nella fantasia?”
CREPET, Cuori violenti. Viaggio nella criminalità giovanile, Feltrinelli, Milano, 2008, 158.

La proposta di don Bosco non è certo buonista. E’ molto impegnativa, egli chiede all’educatore di volare alto con i giovani. Amarli e stare molto tempo con loro. Chiede all’educatore di abbassarsi al livello dei giovani, di amare quello che loro amano, per poi aiutarli ad accettare anche quello che spontaneamente non amano: la fatica, l’impegno, la serietà. A volte capaci di dire anche dei no, quando è necessario. Guai se diciamo sempre e solo dei sì. Guai se pensiamo che amare i giovani significhi parlare come parlano loro, vestirci come vestono loro, senza però essere per loro guide sicure.
Chi ha a che fare con ragazzi o con i giovani sente tutta la fatica dell’educare. Penso alle vostre famiglie. Penso a tante famiglie della Parrocchia che si sentono impotenti, che sono ferite, rassegnate, scoraggiate. Non esistono ricette prefabbricate né procedure standard, seguendo le quali si ottengono risultati certi.
Oggi ricordiamo la santa Famiglia di Nazareth. Penso che le nostre famiglie debbano vivere con questa filosofia: continuare a seminare, con coraggio e speranza, perché ogni ragazzo tiri fuori il meglio di se. Anche nel peggiore c’è sempre un punto accessibile al bene.
Ci viene in mente quella parabola raccontata da Gesù del seminatore, che a larghe mani butta il seme dovunque: sulla strada, in mezzo ai sassi, tra i rovi, e anche sul terreno buono. Non è preoccupato di ottenere subito risultati. E’ pieno di speranza.
Ogni ragazzo, come ogni uomo, è unico ed irripetibile, una scheggia di infinito, un mistero.
Ha un modo libero e unico di rispondere a tutte le sollecitazioni educative. Per questo l’educazione è un’arte. E per questo il suo risultato non è né immediato né scontato.
E’ sempre stato difficile …ma oggi lo è ancora di più.
A voi ragazzi oggi don Bosco direbbe: puntate in alto. Siate pieni di entusiasmo e di voglia di vivere. Alcuni anni fa ad un grande calciatore arrivò la lettera di un ragazzo: “Vorrei fare il calciatore e diventare famoso come te. Dimmi però subito se è una cosa lunga e faticosa. Altrimenti cambio strada ”.
Ieri sera voi ragazzi avete realizzato un bellissimo spettacolo. Mastro Boschetto ce l’ha messa tutta col suo estro a trasformare dei blocchi di marmo, dei marmocchi in capolavori.
E’ il compito a cui è chiamato ciascuno di voi.
Diventare un capolavoro. Dipende anche da voi. “La vita di un ragazzo – diceva Charles Péguy- dipende da pochi sì e da pochi no detti nella giovinezza”.

Don Bosco ci aiuti a trovarlo questo punto e a lavorare insieme per costruire una società migliore.

Don Virginio Ferrari

 




Comunioni e Cresime

La Cresima è il Sacramento che ci rende perfetti cristiani. Non a caso, si chiama anche Confermazione, perché conferma e rafforza la grazia che abbiamo ricevuto nel Battesimo. Lo ha detto anche papa Francesco durante un’Udienza: questo Sacramento va inteso «in continuità con il Battesimo» e «questi due Sacramenti, insieme con l’Eucaristia, formano un unico evento salvifico». Per il Pontefice, «quando accogliamo lo Spirito Santo nel nostro cuore e lo lasciamo agire, Cristo stesso si rende presente in noi e prende forma nella nostra vita; attraverso di noi sarà Lui a pregare, a perdonare, a infondere speranza e consolazione, a servire i fratelli, a farsi vicino ai bisognosi e agli ultimi, a creare comunione, a seminare pace.».

 

Per scaricare il volantino: Avviso cresimandi 2017

 




Il presepe di …

Il presepe di Francesco, Giotto e Bergoglio.
Quest’anno Papa Francesco ha scelto, per gli auguri natalizi, l’immagine della Natività affrescata da Giotto nel transetto destro della Basilica inferiore di San Francesco d’Assisi, nel 1313 circa. Lo riferisce il direttore della sala stampa del Sacro Convento, padre Enzo Fortunato. L’affermazione biblica che è dietro l’immagine è tratta da Isaia: “Ci è stato dato un figlio… il Principe della pace”. “Cogliendo quindi dal Natale – sottolinea padre Fortunato – pensieri, sguardi e gesti di pace. Bergoglio ha guardato ad Assisi perché Francesco è stato colui che ha inventato il presepe”. Riportiamo di seguito una riflessione di padre Fortunato pubblicata sul sito: www.sanfrancescopatronoditalia.it.

***

Il gesto semplice e amorevole della levatrici che abbracciano, fasciano e sostengono il neonato. Quest’anno Papa Francesco ha scelto per gli auguri natalizi l’immagine della natività di Giotto affrescata nel transetto destro della Basilica inferiore di Assisi nel 1313 circa. L’affermazione biblica che vi appone dietro è quella di Isaia 9,5: ci è stato dato un figlio … il Principe della pace.

È come se ci dicesse che contemplare il mistero natalizio significa cogliere da esso pensieri, sguardi e gesti di pace. Bergoglio ha guardato ad Assisi perché Francesco è stato colui che ha inventato il presepe.In quella notte del 1223 il Santo volle “rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato” affinché potesse nascere nel cuore di ogni uomo. E’ come se l’Assisiate dicesse: ti accorgi di Dio? La grammatica della tua vita con il suo mangiare, bere, maritarsi, impegnarsi ha una regola, un principio, una fonte? Senza di essa è come essere naufraghi.

La natività proposta è tratta da quel capolavoro, da quello scrigno che viene denominato la “Bibbia dei poveri”, chiamata così perché permetteva attraverso la catechesi dell’affresco di portare la Buona Novella, non solo ai grandi e ai potenti, ma anche e soprattutto ai semplici e agli illetterati. E’ quello che desiderava il Santo. Nell’affresco colpisce la rappresentazione con due bambinelli. Il motivo sta, alla luce di una lettura spirituale, nell’esprimere la natura di Cristo umana e divina. Quella dimensione umana ‘tratta’ dal divino che ha caratterizzato l’annuncio dei francescani.

Il lato divino Giotto lo racconta attraverso il blu che splende nella notte di Betlemme. L’artista sfonda, allarga, dilata la sua narrazione mentre essa procede in riquadri e per ordine, come le antiche tradizioni; il figlio di Bondone è consapevole di raccontare una storia vera, non una favola. E’ tutto così potente e allo stesso tempo tranquillo. Elimina gli effetti speciali e la svolta è data dall’uso del blu, un colore che cattura, commuove, prende chiunque. Pellegrino o turista, entrando nelle basiliche giottesche ne è affascinato. Questo pigmento ha lo stesso splendore dell’oro, ma è più reale: sono blu le volte stellate, i cieli di tutte le scene. E’ blu il mantello di Maria. Un colore profondo, luminoso e soprattutto regale e reale. Scrive Giuseppe Frangi: “Egli lo dava a secco, cioè a calce asciutta, perché il pigmento dell’azzurrite non legava con la calce. E’ forte quel blu, ma anche tremendamente fragile. Si sfarina sotto il lavorio dell’umidità e dell’inquinamento. La pietra che, macinata, lo produceva veniva dall’Afghanistan, ed era scoperta recente, tanto è vero che greci e romani non sapevano come produrre il blu”. Il primo che adoperò tale tecnica fu Cimabue, maestro di Giotto, che aveva sorpreso tutti. Esempio ne è la chiesa di san Domenico a Bologna. Uno spiraglio che è servito a Giotto per spalancare nel cielo di Assisi un cielo prezioso e terso, che sa di eterno. Un cielo felice che getta sulle scene una luce radiosa, rendendole pure, senza scorie e colmando gli spazi di eterna profondità.

Tutto questo per avvicinare l’uomo alle verità che sta raccontando, una verità che emerge da sguardi e gesti tutti puntati su Gesù: è la pupilla spalancata, curiosa e saziata di Giotto.

A Papa Francesco interessa proporre per questo Natale tre gesti “terribilmente umani” perché impegnativi e “dolcemente umani” perché possibili e sono quelli delle due levatrici che nell’affresco stanno accanto al bambino che: abbracciano, fasciano e sostengono. E’ il racconto dell’evangelista Luca a cui fa riferimento Giotto: il gesto semplice e amorevole della levatrici

Abbracciare è parabola umana. Si tratta di considerare l’altro non un estraneo, ma “pezzi” di umanità che mi appartengono. Il gesto del fasciare richiama la necessità di lenire le sofferenze dell’altro, la sofferenza della fame perché si è chiamati ad allattare; la sofferenza del freddo, di chi è costretto a lasciare la casa natia. Infine sostenere la fragilità di un corpo. E’ qui che siamo chiamati a farci presenza. E’ qui che siamo chiamati a percepire, attraverso i nostri gesti, il Dio con noi. E’ il Natale.

La scena proposta si staglia tra due punti topografici: la grotta e il campo dei pastori. Due luoghi provvisori, vissuti da seminomadi, da pastori. Due residenze provvisorie, due località misere, due segni di quotidiana miseria, che diventano il centro della Speranza. E sono queste periferie che vorrebbe nuovamente affrescare, affinché l’uomo si possa accorgere di Dio attraverso i gesti semplici della vita quotidiana.