L’omelia e le foto!

L’omelia e le foto!
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Dal 28 al 31 nella nostra parrocchia ci sono stati giorni di festa e celebrazioni e attività e momenti di comunione fraterna in occasione dell’anniversario della morte di don Bosco, il 31 gennaio.
Il 29 è stata una bellissima giornata, nel segno della comunione fraterna e dell’allegria. L’omelia di don Virginio e le prime foto …

Ci vorrebbe ancora don Bosco
(don Virginio)

Milano 29 gennaio 2017

Ogni Santo che il Signore suscita non è soltanto un esempio di come l’uomo possa realizzare in pienezza il progetto che Dio ha su di lui, ma è anche una parola, un messaggio che Dio rivolge a noi uomini distratti. Suscitando Madre Teresa è come se Dio avesse voluto ricordare a ciascuno di noi la sua predilezione per gli ultimi. Suscitando don Bosco Dio ci ricorda che i piccoli e i giovani sono amati da Lui e che occuparsi di loro è caro al Signore.
Gesù, ai suoi discepoli preoccupati perché i piccoli fanno perdere tempo al Maestro e sembrano distoglierlo da cose ben più importanti dice loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, chi accoglie un bambino in nome mio accoglie me.”
L’invito del Signore è ad accogliere sempre i piccoli, gli ultimi, i semplici.
Accogliere. Una parola oggi molto usata. Non altrettanto facile da capire e da vivere. Per don Bosco accogliere significava non tanto aspettare che i ragazzi e giovani andassero a cercarlo, piuttosto andare a trovarli là dove essi vivevano, sulla strada, orfani, soli, in mezzo a situazioni di vita spesso caratterizzati dalla devianza con problematiche familiari e sociali complesse e contraddittorie.
Chissà cosa provava quel giovane prete pieno di entusiasmo quando incontrava questi giovani allo sbando, violenti e col volto triste. E’ la visita al carcere minorile di Torino che lo lascia sbigottito «Vedere turbe di giovanetti sull’età da 12 a 18 anni; sani, robusti, di ingegno sveglio; ma inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentare di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire».
E’ quello che capita anche a me oggi. Penso capiti anche a voi.
Basta fare un giro di sera intorno alla Stazione Centrale per rendersene conto. Tantissimi ragazzi e ragazze allo sbando.
Qualcuno potrebbe pensare: “Oggi però non siamo più ai tempi di don Bosco. Oggi la situazione è radicalmente diversa.”
Si può finire col pensare ingenuamente che don Bosco abbia avuto via facile, solo applausi, riconoscimenti. In realtà ha pagato di persona la sua scelta di accogliere nel senso evangelico del termine. Era sempre di corsa, non sapeva dove radunare i suoi ragazzi perché lo cacciavano da ogni parte: i suoi ragazzi disturbavano, gridavano, facevano chiasso. Non aveva soldi nemmeno per dar loro da mangiare. Qualche bravo prete lo aiutava dandogli qualche spicciolo, ma, il più delle volte non bastavano e bussava a tante porte per chiedere aiuto.
Una vita non facile. Ma che non lo ha mai scoraggiato.
Voleva a tutti i costi mostrare loro che la via del bene è più bella di quella della strada e dei luoghi dominati dalla violenza subita e dalla trasgressione. Desiderava far capire loro che è solo una vita buona, onesta che rende davvero felici. E che Dio è la strada giusta.
“ il primo impegno del demonio consiste nel farci credere che stare con il Signore significhi condurre una vita triste e malinconica, lontana da ogni divertimento. Non è così, si può essere al tempo stesso cristiani e allegri.”
Nessun giovane e ragazzo era considerato perduto, irrecuperabile, perfino chi aveva commesso colpe gravi ed era in carcere non veniva trascurato. I suoi “ragazzacci”, come li chiamavano i suoi confratelli sacerdoti, erano conquistati dal cuore prima che da servizi.
Non sempre e non con tutti ha funzionato. Anche don Bosco una sera, dopo che gli avevano rubato le coperte e se ne erano andati, cercò di consolare sua mamma Margherita sconfortata. “Giovanni, qui non ce la possiamo fare”. E don Giovanni indica alla mamma il crocifisso. Quella Santa mamma, analfabeta ma sapiente, ritornò a pulire la verdura e a preparare la cena per i ragazzi.
Ebbene, oggi che farebbe don Bosco di fronte a un mondo giovanile che è in serie difficoltà?
Cosa farebbe di fronte al nostro mondo adulto che è ancora maggiormente in difficoltà?
Emerge oggi l’incapacità del mondo adulto di misurarsi con le istanze autentiche dell’universo giovanile. Da una parte infatti ci scandalizziamo per episodi tragici che hanno protagonisti dei ragazzi, vedi l’efferato omicidio di Ferrara, e dall’altra si assiste alla rinuncia di tanti adulti ad educare. Situazione ben espressa da un testo sulla devianza giovanile di paolo Crepet non privo di spunti interessanti:

Questa società non ama più i suoi ragazzi. […]Distruggiamo i loro parchi, gli lasciamo qualche sala giochi, gli vendiamo iphone sempre più tecnologici perché si possano ancor più isolare, gli regaliamo macchine velocissime per poi piangere sui loro incidenti del sabato sera. Gli vendiamo birre e pilloline eccitanti e poi firmiamo appelli per chiudere le discoteche un paio d’ore prima. […]Perché ci meravigliamo, allora, quando vediamo questi ragazzi già così vecchi, bruciati perfino nella fantasia?”
CREPET, Cuori violenti. Viaggio nella criminalità giovanile, Feltrinelli, Milano, 2008, 158.

La proposta di don Bosco non è certo buonista. E’ molto impegnativa, egli chiede all’educatore di volare alto con i giovani. Amarli e stare molto tempo con loro. Chiede all’educatore di abbassarsi al livello dei giovani, di amare quello che loro amano, per poi aiutarli ad accettare anche quello che spontaneamente non amano: la fatica, l’impegno, la serietà. A volte capaci di dire anche dei no, quando è necessario. Guai se diciamo sempre e solo dei sì. Guai se pensiamo che amare i giovani significhi parlare come parlano loro, vestirci come vestono loro, senza però essere per loro guide sicure.
Chi ha a che fare con ragazzi o con i giovani sente tutta la fatica dell’educare. Penso alle vostre famiglie. Penso a tante famiglie della Parrocchia che si sentono impotenti, che sono ferite, rassegnate, scoraggiate. Non esistono ricette prefabbricate né procedure standard, seguendo le quali si ottengono risultati certi.
Oggi ricordiamo la santa Famiglia di Nazareth. Penso che le nostre famiglie debbano vivere con questa filosofia: continuare a seminare, con coraggio e speranza, perché ogni ragazzo tiri fuori il meglio di se. Anche nel peggiore c’è sempre un punto accessibile al bene.
Ci viene in mente quella parabola raccontata da Gesù del seminatore, che a larghe mani butta il seme dovunque: sulla strada, in mezzo ai sassi, tra i rovi, e anche sul terreno buono. Non è preoccupato di ottenere subito risultati. E’ pieno di speranza.
Ogni ragazzo, come ogni uomo, è unico ed irripetibile, una scheggia di infinito, un mistero.
Ha un modo libero e unico di rispondere a tutte le sollecitazioni educative. Per questo l’educazione è un’arte. E per questo il suo risultato non è né immediato né scontato.
E’ sempre stato difficile …ma oggi lo è ancora di più.
A voi ragazzi oggi don Bosco direbbe: puntate in alto. Siate pieni di entusiasmo e di voglia di vivere. Alcuni anni fa ad un grande calciatore arrivò la lettera di un ragazzo: “Vorrei fare il calciatore e diventare famoso come te. Dimmi però subito se è una cosa lunga e faticosa. Altrimenti cambio strada ”.
Ieri sera voi ragazzi avete realizzato un bellissimo spettacolo. Mastro Boschetto ce l’ha messa tutta col suo estro a trasformare dei blocchi di marmo, dei marmocchi in capolavori.
E’ il compito a cui è chiamato ciascuno di voi.
Diventare un capolavoro. Dipende anche da voi. “La vita di un ragazzo – diceva Charles Péguy- dipende da pochi sì e da pochi no detti nella giovinezza”.

Don Bosco ci aiuti a trovarlo questo punto e a lavorare insieme per costruire una società migliore.

Don Virginio Ferrari

 

Parrocchia Sant'Agostino

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