Le ultime … dal 22/12 al 6/01

“Il perdono libera il cuore e permette di ricominciare: il perdono dà speranza, senza perdono non si edifica la Chiesa”.  “… il dono all’ennesima potenza”, “l’amore più grande, quello che tiene uniti nonostante tutto, che impedisce di crollare, che rinforza e rinsalda”, e che viene dallo Spirito Santo.
“In esso si mostra la gratuità dell’amore di Dio che ci ha amato per primo”. E proprio perché è stato perdonato il cristiano, ha spiegato sempre il Papa, deve perdonare e non giudicare il fratello che pecca. Chiedere scusa, riconoscere il proprio peccato e offrire al tempo stesso comprensione verso gli altri, anche se non è cosa facile: questo è il pensiero di Francesco, che anche nella vita matrimoniale ha suggerito ai coniugi tre parole chiave, tra cui proprio la parola “scusa”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Papa Francesco a Milano

Papa Francesco viene a Milano il 25 marzo 2017, solennità dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria, per il ministero che gli è stato affidato di confermare nella fede i suoi fratelli. __ __ __

Lo slogan e il logo

Mani che accolgono, le montagne e il Duomo nel logo della visita di papa Francesco a Milano. Scelto lo slogan della giornata: “In questa città Io ho un popolo numeroso, dice il Signore”.

La Diocesi di Milano ha scelto uno slogan ed elaborato un logo per la visita di Papa Francesco a Milano.

Lo slogan è una frase biblica degli Atti degli apostoli, scelta dal cardinale Angelo Scola come titolo della visita di Papa Francesco alle terre ambrosiane:
“In questa città io ho un popolo numeroso, dice il Signore” (At. 18,10).

 Il logo  è stato ideato da Adriano Attus (Direttore creativo del Sole 24 Ore) e da Luca Pitoni (Designer e Direttore creativo di Donna Moderna).
L’elaborazione del logo è partita tenendo come punto di riferimento il titolo della visita.
L’idea di popolo è rappresentata nel logo dalle mani che si tendono verso il Papa. Mani che sono anche ali angeliche, ali delle colombe della pace, ma che nel loro insieme raffigurano il profilo del Duomo. Un profilo che ricorda anche le montagne che caratterizzano le zone nord della Diocesi di Milano.
Il popolo, i fedeli, dalla terra con le loro mani aperte vanno verso il Santo Padre, che – nella parte superiore del logo tutti abbraccia. L’abbraccio del Papa diventa anche un sorriso.
E la composizione delle due parti del logo delinea – al centro – una croce.
In questo logo è raffigurata l’osmosi tra la città e il Pontefice. «Abbiamo voluto rendere al massimo la semplicità auspicata dal Santo Padre, togliendo dal logo ogni riferimento all’apparato liturgico – commentano Attus e Pitoni –. Tutta Milano, quella religiosa e quella laica, tende le proprie mani, che rappresentano anche il Duomo, al Papa, che abbraccia, sorride e dona speranza e pace a tutti».




Speciale – Papa Francesco a Milano – Richiesta di volontari

L’accoglienza nelle tue mani. La diocesi di Milano cerca tremila volontari fra i 18 e 70 anni per la visita di Papa Francesco del prossimo 25 marzo.  Saranno necessari oltre tremila volontari per coordinare la visita di Papa Francesco a Milano. La Diocesi ha attivato un apposito ufficio che si occuperà del loro reclutamento, formazione e coordinamento (clicca qui per scaricare e diffondere il volantino).

Per proporsi come volontari, entro il 31 gennaio, è necessario essere nella fascia d’età tra i 18 e i 70 anni ed essere disponibili per l’intera giornata di visita del Santo Padre, sabato 25 marzo 2017.

Serviranno infatti volontari nei seguenti luoghi:
Percorsi Papali
Piazza Duomo, in occasione dell’Angelus
Parco di Monza, in occasione della Santa Messa
Stadio Meazza di San Siro, in occasione dell’incontro dei Cresimandi e Cresimati

Ai volontari sarà chiesto di occuparsi dell’accoglienza delle persone, dell’animazione lungo i percorsi, del servizio d’ordine e di favorire l’accesso ai luoghi della visita del Papa.

La formazione dei volontari avverrà on line e con sopralluoghi nei giorni precedenti l’evento, in date ancora da definire ma prevalentemente di sera e nel fine settimana.

Chi vuole diventare volontario può rivolgersi, nella nostra parrocchia,  a Jaime Vaca Rodas:  jaime.vacarodas@gmail.com 

Oppure, ci si può rivolgere direttamente al referente decanale della propria zona:
ZONA 1 MILANO

Cliccando qui trovi una descrizione grafica di come diventare volontario.

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Speciale – Papa Francesco a Milano – Lo slogan e il logo

Mani che accolgono, le montagne e il Duomo nel logo della visita di papa Francesco a Milano. Scelto lo slogan della giornata: “In questa città Io ho un popolo numeroso, dice il Signore”.

La Diocesi di Milano ha scelto uno slogan ed elaborato un logo per la visita di Papa Francesco a Milano.

Lo slogan è una frase biblica degli Atti degli apostoli, scelta dal cardinale Angelo Scola come titolo della visita di Papa Francesco alle terre ambrosiane:
“In questa città io ho un popolo numeroso, dice il Signore” (At. 18,10).

 Il logo  è stato ideato da Adriano Attus (Direttore creativo del Sole 24 Ore) e da Luca Pitoni (Designer e Direttore creativo di Donna Moderna).
L’elaborazione del logo è partita tenendo come punto di riferimento il titolo della visita.
L’idea di popolo è rappresentata nel logo dalle mani che si tendono verso il Papa. Mani che sono anche ali angeliche, ali delle colombe della pace, ma che nel loro insieme raffigurano il profilo del Duomo. Un profilo che ricorda anche le montagne che caratterizzano le zone nord della Diocesi di Milano.
Il popolo, i fedeli, dalla terra con le loro mani aperte vanno verso il Santo Padre, che – nella parte superiore del logo tutti abbraccia. L’abbraccio del Papa diventa anche un sorriso.
E la composizione delle due parti del logo delinea – al centro – una croce.
In questo logo è raffigurata l’osmosi tra la città e il Pontefice. «Abbiamo voluto rendere al massimo la semplicità auspicata dal Santo Padre, togliendo dal logo ogni riferimento all’apparato liturgico – commentano Attus e Pitoni –. Tutta Milano, quella religiosa e quella laica, tende le proprie mani, che rappresentano anche il Duomo, al Papa, che abbraccia, sorride e dona speranza e pace a tutti».




Tempo dopo l’Epifania – Carità

La carità infatti, è inseparabile dalla vita di fede. Nella carità i singoli credenti e tutta la Chiesa esprimono sè stessi, la loro profonda identità. Orbene l’identità profonda del cristiano e della Chiesa è la sequela, il discepolato, l’obbedienza, la testimonianza nei confronti di Gesù. C’è anzitutto Cristo, c’è il mistero dell’unione di Cristo con ogni uomo con ogni sofferenza, con ogni speranza, con ogni storia umana; c’è il disegno del Padre che ha voluto che un uomo, Gesù di Nazareth, fosse unito a lui nell’amore dello Spirito Santo come Figlio Unigenito e ha voluto che ogni altro uomo fosse suo figlio per partecipazione alla vita di Gesù in forza dello Spirito Santo. Tutta la nostra attenzione alla storia della Carità non deve mai dimenticare, direbbe Papa Francesco che la Chiesa non è semplicemente una ”onlus umanitaria”, ma è la comunità dei discepoli di Cristo, che cammina per fede nel Padre ed opera nella forza dell’amore che riceve dallo Spirito Santo.

Come aiuto alla riflessione sulla carità, in questo tempo forte, leggiamo «Ri-farsi prossimo», la  Lettera pastorale del vescovo Nazzareno Marconi (dicembre 2016)  che a proposito di questa Lettera spiega:  «A trenta anni di distanza, il mio testo si ispira al documento “Farsi prossimo” del cardinale Carlo Maria Martini».

(“Farsi prossimo” è la lettera pastorale che conclude, nel progetto del cardinal Martini, la contemplazione sull’essere della comunità cristiana. Dopo aver invitato a riflettere sulla dimensione contemplativa, l’Eucaristia e la missione, affrontando il tema della carità, l’Arcivescovo richiama le condizioni e il frutto dell’evangelizzazione. L’icona evangelica del buon Samaritano richiama alla necessità di accogliere cordialmente ogni uomo nelle concrete situazioni dell’esistenza. Il farsi prossimo ai fratelli conferma, con la testimonianza della vita, il messaggio evangelico.)

 

L’intera Lettera pastorale “Ri-farsi prossimo” Ri-farsi Prossimo – Lettera Pastorale sulla Carita’ 2016-2017

“Farsi prossimo” del cardinale Carlo Maria Martini Farsi prossimo Martini

 




Tempo dopo l’Epifania – Liturgia

Il Tempo che segue la celebrazione dell’Epifania, nel rito Ambrosiano, si pone come eco della solennità. Le domeniche, a partire dalla II dopo l’Epifania, attraverso la presentazione dei segni compiuti da Cristo, ne vengono manifestando la messianicità e la divina signoria. Esso inizia il lunedì che segue la domenica dopo il 6 gennaio, cioè la I domenica dopo l’Epifania, detta del Battesimo del Signore, e si protrae fino all’ora nona compresa del sabato che precede la domenica all’inizio della Quaresima.

Colore liturgico

Il colore liturgico è il verde.

Struttura del Tempo dopo l’Epifania

In ragione della mobilità della Pasqua, il tempo dopo l’Epifania consta al massimo di 8 domeniche e 9 settimane (la prima domenica dopo l’Epifania fa infatti ancora parte del tempo di Natale).

Le domeniche.
• Le due prime domeniche del tempo hanno un particolare legame con l’Epifania. Infatti sulla scia dell’inno epifanico della Chiesa milanese:
o nella II domenica dopo l’Epifania si ricorda il miracolo delle nozze di Cana.
o nella III domenica dopo l’Epifania (se non deve cedere il posto alla festa della Santa Famiglia, vedi il paragrafo sulle particolarità liturgiche) si fa memoria della moltiplicazione dei pani.

• Dalla IV domenica dopo l’Epifania vengono presentati i segni della messianicità di Cristo:
o la signoria di Cristo sulla creazione (IV domenica)
o la signoria di Cristo sulla vita (V domenica)
o la potenza taumaturgica di Cristo e la sua filantropia (VI domenica)
o il potere di Cristo di liberare dai demoni e di rimettere i peccati (VII domenica)

• Le due ultime domeniche dopo l’Epifania (dette rispettivamente “della divina clemenza” e “del perdono”), che immediatamente precedono il Tempo quaresimale sviluppano i due più rilevanti aspetti della Misericordia divina: la clemenza ed il perdono, a fronte del cammino di conversione dell’uomo.

I sabati.
A partire dal sabato che segue la domenica del Battesimo del Signore e per tutte le successive settimane fino alla Quaresima – poi si proseguirà nelle settimane che dalla Pentecoste si susseguono fino alla fine dell’anno liturgico -, sulla scia della proclamazione sabbatica della Legge che ha alimentato l’esperienza religiosa dei primi discepoli e li ha preparati a riconoscere in Gesù il Cristo di Dio, il Lezionario propone come Lettura le pagine del Pentateuco, commentate ricorrendo al magistero paolino e considerate nella prospettiva del Cristo annunciato dai Vangeli.

Le ferie.
Il Tempo dopo l’Epifania si caratterizza, nel suo ciclo feriale, quale manifestazione della Sapienza divina, cui dà voce anzitutto il libro del Siracide. Le pericopi che ne scandiscono la lettura progressiva, e le successive pericopi dal libro della Sapienza e dal Qoelet, sviluppano una illuminante riflessione sulla storia e sulla realtà dell’uomo.
Agli interpreti del pensiero religioso di Israele si affianca lungo tutte le settimane del tempo dopo l’Epifania il “lieto annuncio di Gesù Cristo” proclamato attraverso il vangelo secondo Marco.
Particolarità liturgiche ambrosiane
• Nell’ultima domenica di gennaio si celebra la festa della santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Tale festa prevale sulla corrispondente domenica dopo l’Epifania.
• Le due ultime domeniche dopo l’Epifania (“della divina clemenza” e “del perdono”), che precedono immediatamente il Tempo quaresimale, devono essere sempre celebrate, salvo il caso in cui la penultima venga a coincidere con l’ultima domenica di gennaio, festa della Santa Famiglia.

(Citazioni dal sito della Diocesi e dal Messale ambrosiano quotidiano.)




Tempo dopo l’Epifania – Parola

I Magi mossi dalla “nostalgia di Dio” contrapposti ad Erode, chiuso nel culto di sé e della “vittoria a tutti i costi”. Intorno a queste due immagini il Papa ha svolto l’omelia della Messa da lui presieduta il 6 gennaio nella Basilica di San Pietro per la solennità dell’Epifania del Signore. Francesco ha sottolineato quanto il cammino più difficile che i Magi fecero è stato scoprire che il Dio da adorare non schiavizza né umilia, ma perdona e guarisce. Occorre però avere un cuore aperto e non anestetizzato come quello di Erode.

Mt 2,1-12
Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.

Dal Vangelo secondo Matteo

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Parola del Signore

Come è lontana per alcuni Gerusalemme da Betlemme, come è lontano Erode che dorme dai Magi che sono in cammino. L’ampia riflessione del Papa accompagnata nella splendida Basilica Vaticana dal coro della Cappella Sistina, muove da due azioni dei Magi che risaltano nel Vangelo di Matteo: “vedere e adorare”.

I Magi vedono la stella perché in cammino spinti dalla nostalgia di Dio
I “magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella”, spiega Francesco, riprendendo S. Giovanni Crisostomo; essa infatti “non brillava in modo esclusivo né loro avevano un Dna speciale per scoprirla”, ma “videro la stella perché si erano messi in cammino”, cioè avevano il “cuore aperto all’orizzonte:
“Poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità. I magi, in tal modo, esprimono il ritratto dell’uomo credente, dell’uomo che ha nostalgia di Dio; di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste. Riflettono l’immagine di tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore”.

La nostalgia di Dio contro il determinismo e i profeti di sventura
La “santa nostalgia di Dio”, spiega Francesco, è quella che “ci permette di tenere gli occhi aperti davanti ai tentativi di ridurre e di impoverire la vita”, è“ la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura” ed ha animato diverse figure evangeliche che il Papa cita. Ha spinto tutti i giorni Simeone al Tempio, nella certezza che avrebbe tenuto in braccio il Salvatore prima di morire, ha ricondotto il figlio prodigo dal padre, ha spinto il pastore a lasciare le novantanove pecore per cercare quella smarrita. Ed è la” santa nostalgia di Dio” che Maria Maddalena sperimenta “la mattina di Pasqua per andare di corsa al sepolcro a cercare il Maestro risorto”:
“La nostalgia di Dio ci tira fuori dai nostri recinti deterministici, quelli che ci inducono a pensare che nulla può cambiare. La nostalgia di Dio è l’atteggiamento che rompe i noiosi conformismi e spinge ad impegnarci per quel cambiamento a cui aneliamo e di cui abbiamo bisogno. La nostalgia di Dio ha le sue radici nel passato ma non si ferma lì: va in cerca del futuro”.

Il credente alla ricerca Dio nei luoghi più reconditi
Il credente “nostalgioso”, continua il Papa, “spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i Magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il Signore”:
“Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare”.

Erode non cerca Dio ma dorme immerso nel culto di sé
Contrapposto a questo atteggiamento di ricerca, spiega Francesco, c’è quello di chi, come Erode, mentre i magi camminavano a poca distanza da Betlemme, dormiva, “sotto l’anestesia di una coscienza cauterizzata, e rimase sconcertato, ebbe paura”:
“E’ lo sconcerto che, davanti alla novità che rivoluziona la storia, si chiude in sé stesso, nei suoi risultati, nelle sue conoscenze, nei suoi successi. Lo sconcerto di chi sta seduto sulla ricchezza senza riuscire a vedere oltre. Uno sconcerto che nasce nel cuore di chi vuole controllare tutto e tutti. E’ lo sconcerto di chi è immerso nella cultura del vincere a tutti i costi; in quella cultura dove c’è spazio solo per i “vincitori” e a qualunque prezzo”.
Uno sconcerto dunque che nasce dalla paura “davanti a ciò che ci interroga e mette a rischio le nostre sicurezze, i nostri modi di attaccarci al mondo e alla vita”. Lo provò Erode, che per questo “andò a cercare sicurezza nel crimine”, nell’uccisione di tanti bambini.

Dio è voluto nascere dove non lo aspettavamo
L’altra azione dei Magi che risalta nel Vangelo, è “adorare”. Essi giunsero dall’Oriente, fa notare Francesco, in un Palazzo, cioè nel “luogo più idoneo” per un Re, “segno di potere, di successo, di vita riuscita”, gli “idoli a cui rendiamo culto”, ma che promettono “solo tristezza e schiavitù”. Fu proprio lì, in quel Palazzo – è la forte sottolineatura del Papa – che per i Magi ” cominciò il cammino più lungo”, “l’audacia più difficile”: scoprire che ciò che “cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale”; scoprire “un Dio che vuole essere amato solo nel segno della libertà e non della tirannia”.
“Scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona. Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce. Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo. Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per gli ultimi, feriti, gli affaticati, i maltrattati e gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia. Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!”

Il culto di sé stessi impedisce di aprirsi a Dio
Dunque Erode, è la conclusione di Francesco, “non può adorare perché non ha voluto né potuto cambiare il suo sguardo” , “non ha voluto smettere di rendere culto a sé stesso” e come lui i sacerdoti non potevano adorare perché pur conoscendo le profezie, non erano ”disposti né a camminare né a cambiare”. Ad entrambi ancora una volta si contrappongono i Magi:
“Erano abituati, assuefatti e stanchi degli Erode del loro tempo. Ma lì, a Betlemme, c’era una promessa di novità, una promessa di gratuità. Lì stava accadendo qualcosa di nuovo. I magi poterono adorare perché ebbero il coraggio di camminare e prostrandosi davanti al piccolo, prostrandosi davanti al povero, prostrandosi davanti all’indifeso, prostrandosi davanti all’insolito e sconosciuto Bambino di Betlemme, lì scoprirono la Gloria di Dio”.

(Servizio di Gabriella Ceraso)




Icone di Misericordia

“Vi auguro un anno di giustizia, di perdono, di serenità, ma soprattutto un anno di misericordia: vi aiuterà leggere questo libro, è tascabile, potete portarlo con voi”. Così papa Francesco, venerdì 6 Gennaio, Solennità dell’Epifania del Signore, al termine dell’Angelus (al quale hanno partecipato circa 35 mila persone), ha presentato ai fedeli l‘opuscolo “Icone di misericordia”, da lui offerto in dono ai presenti in 50 mila copie.

L’opuscolo distribuito in piazza dai senzatetto e dai profughi. “I Magi offrono a Gesù i loro doni – ha detto il Pontefice -, ma in realtà Gesù stesso è il vero dono di Dio: lui infatti è il Dio che ci si dona, in lui noi vediamo il volto misericordioso del Padre che ci aspetta, ci accoglie, ci perdona sempre, il volto di Dio che non ci tratta mai secondo le nostre opere o secondo i nostri peccati, ma unicamente secondo l’immensità della sua inesauribile misericordia”. “E parlando di doni – ha quindi proseguito -, anche io ho pensato di farvi un piccolo dono. “Vi verrà distribuito dai poveri, dai senzatetto e dai profughi insieme a molti volontarie religiosi che saluto cordialmente e ringrazio di vero cuore”. Al termine della distribuzione ai bisognosi (oltre 300) è stato offerto un tramezzino con bevanda da parte del Papa.

Sei episodi evangelici illustrano la Misericordia. Il piccolo opuscolo tascabile, “intende continuare ad offrire, come uno dei piccoli frutti del Giubileo Straordinario da poco concluso, alcuni spunti di riflessione e di preghiera sulla Misericordia infinita di Dio”, spiega l’Elemosineria. “La figura di Gesù Misericordioso è presentata in queste poche pagine attraverso sei episodi evangelici che raccontano l’esperienza di altrettante persone trasformate dal suo amore: la peccatrice, Zaccheo, Matteo il pubblicano, la samaritana, il buon ladrone, l’apostolo Pietro. Sei icone, appunto, di misericordia”, viene spiegato.

Il Papa: sta a noi scegliere la stella da seguire. “Anche nella nostra vita ci sono diverse stelle, luci che brillano e orientano. Sta a noi scegliere quali seguire”. Così, all’Angelus dell’Epifania,papa Francesco ha commentato la tradizione della stella che guidò i Magi a Betlemme. “Per esempio, ci sono luci intermittenti – ha detto -, che vanno e vengono, come le piccole soddisfazioni della vita: anche se buone, non bastano, perché durano poco e non lasciano la pace che cerchiamo”. “Ci sono poi le luci abbaglianti della ribalta, dei soldi e del successo – ha proseguito -, che promettono tutto e subito: sono seducenti, ma con la loro forza accecano e fanno passare dai sogni di gloria al buio più fitto”. I Magi, invece, ha detto Francesco,”invitano a seguire una luce stabile, una luce gentile, che non tramonta, perché non è di questo mondo: viene dal cielo e splende nel cuore”. “Questa luce vera è la luce del Signore, o meglio, è il Signore stesso”, ha aggiunto.

Qui il libretto in formato pdf  iconedimisericordia

 




Il Battesimo di Gesù Angelus

“Annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione”. È questo, secondo Papa Francesco, “lo stile missionario dei discepoli di Cristo”, come afferma nella catechesi dell’Angelus di oggi, festa del Battesimo di Gesù. Una festa che – sottolinea – “ci fa riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati, cioè di peccatori – tutti lo siamo – salvati dalla grazia di Cristo, inseriti realmente, per opera dello Spirito Santo, nella relazione filiale di Gesù con il Padre, accolti nel seno della madre Chiesa, resi capaci di una fraternità che non conosce confini e barriere”.

È questo il senso del gesto di Gesù riportato dal Vangelo odierno di Matteo: il Messia si unisce alla folla penitente che avanza verso Giovanni Battista e “fa la coda” per ricevere il Battesimo presso il fiume Giordano, spiega il Papa. Il profeta “vorrebbe impedirglielo”, “consapevole della grande distanza che c’è tra lui e Gesù”; ma Cristo “è venuto proprio per colmare la distanza tra l’uomo e Dio: se Egli è tutto dalla parte di Dio, è anche tutto dalla parte dell’uomo, e riunisce ciò che era diviso”.

Gesù chiede quindi a Giovanni di battezzarlo “perché si adempia ogni giustizia, cioè si realizzi il disegno del Padre che passa attraverso la via dell’obbedienza e della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore, la via dell’umiltà e della piena vicinanza di Dio ai suoi figli”, sottolinea il Santo Padre. E nel momento in cui il Messia, battezzato da Giovanni, esce dalle acque del fiume Giordano, la voce di Dio Padre si fa sentire dall’alto: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento»“.

“Nello stesso tempo – ricorda il Papa – lo Spirito Santo, in forma di colomba, si posa su Gesù, che dà pubblicamente avvio alla sua missione di salvezza; missione caratterizzata dallo stile del servo umile e mite, munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia: «Non griderà, né alzerà il tono, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (42,2-3)“.

“La vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo – evidenzia infatti il Pontefice -. Ma come si fa questa attrazione a Cristo? Con la nostra propria testimonianza, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli”. “Ad imitazione di Gesù, pastore buono e misericordioso, e animati dalla sua grazia, siamo chiamati a fare della nostra vita una testimonianza gioiosa che illumina il cammino, che porta speranza e amore”, soggiunge.

E conclude con una preghiera alla Vergine Maria affinché “aiuti tutti noi cristiani a conservare una coscienza sempre viva e riconoscente del nostro Battesimo e a percorrere con fedeltà il cammino inaugurato da questo Sacramento della nostra rinascita. E sempre umiltà, mitezza e fermezza”.

Dopo la recita dell’Angelus, Bergoglio ricorda la cerimonia celebrata nel mattino in Cappella Sistina, durante la quale ha battezzato “un bel gruppo di neonati”, 28 per l’esattezza. “Preghiamo per loro e per le loro famiglie”, chiede il Papa ai fedeli in piazza San Pietro, rivelando di aver battezzato ieri pomeriggio anche un altro “giovane catecumeno”. Estende quindi la sua preghiera “a tutti i genitori che in questo periodo si stanno preparando al Battesimo di un loro figlio, o lo hanno appena celebrato. Invoco lo Spirito Santo su di loro e sui bambini, perché questo Sacramento, così semplice e nello stesso tempo così importante, sia vissuto con fede e con gioia”.

Il Pontefice invita inoltre “ad unirsi alla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, che diffonde, anche attraverso le reti sociali, le intenzioni di preghiera che propongo ogni mese a tutta la Chiesa. Così – afferma – si porta avanti l’apostolato della preghiera e si fa crescere la comunione”.

Un saluto va, infine, ai pellegrini italiani e stranieri, in particolare il gruppo di giovani di Cagliari, che il Vescovo di Roma incoraggia a proseguire il cammino iniziato con la Cresima: un sacramento che “non è solo un punto di arrivo, non è il ‘Sacramento dell’addio’, come dicono alcuni, a anche e soprattutto un punto di partenza nella vita cristiana. Avanti – conclude – con la gioia del Vangelo!”.




Papa Francesco L’Epifania

Un Re che “non umilia, non schiavizza, non imprigiona”, ma anzi “rialza, perdona, guarisce”. Un Re che non è nato in uno di quei palazzi “segno di potere, di successo, di vita riuscita”. Un Re nel cui sguardo trovano posto “i feriti, gli affaticati, i maltrattati e gli abbandonati”. È il “Re neonato” che i tre Magi sono andati ad adorare, partendo da terre lontane, mossi da quella “santa nostalgia” che anima “tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore”.

Papa Francesco, in una Messa in San Pietro per la Solennità dell’Epifania, traccia il percorso fisico e spirituale dei tre Sapienti d’Oriente fino all’arrivo in quell’umile greppia di Betlemme che distava pochi chilometri dal palazzo di un altro Re, Erode. Un Re che, “seduto sulla sua ricchezza”, non riuscì a vedere oltre e rendersi conto di ciò che stava succedendo. “Mentre i Magi camminavano, Gerusalemme dormiva”, sottolinea il Papa. “Dormiva in combutta con un Erode che, invece di essere in ricerca, pure dormiva” sotto “l’anestesia di una coscienza cauterizzata”. Rimase quindi “sconcertato”, ebbe “paura”, “si chiude in sé stesso, nei suoi risultati, nelle sue conoscenze, nei suoi successi”.

È “lo sconcerto” provocato dalla “novità che rivoluziona la storia”. Lo sconcerto “di chi sta seduto sulla sua ricchezza senza riuscire a vedere oltre. Uno sconcerto che nasce nel cuore di chi vuole controllare tutto e tutti. È lo sconcerto di chi è immerso nella cultura del vincere a tutti i costi; in quella cultura dove c’è spazio solo per i ‘vincitori’ e a qualunque prezzo”. Sentimenti suscitati “dal timore davanti a ciò che ci interroga e mette a rischio le nostre sicurezze e verità, i nostri modi di attaccarci al mondo e alla vita”. In preda alla paura, Erode cercò sicurezza nel crimine: «Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde. Uccidi i bambini nel cuore, perché a te ti uccide la paura nel cuore».

A far da contrappeso a questo “sconcerto”, c’è invece la “nostalgia” dei Re Magi, che, “abituati, assuefatti e stanchi degli Erode del loro tempo”, sentivano il bisogno di un cambiamento. “Non volevano più le solite cose” e “lì, a Betlemme, c’era una promessa di novità, una promessa di gratuità. Lì stava accadendo qualcosa di nuovo”.

“Questi uomini hanno visto una stella che li ha messi in movimento”, rammenta il Papa. “Non era una stella che brillò in modo esclusivo per loro né avevano un Dna speciale per scoprirla”. Come affermava San Giovanni Crisostomo, essi “non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino”. Avevano, cioè, “il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità”.

In tal senso, i tre sapienti d’Oriente “esprimono il ritratto dell’uomo credente, dell’uomo che ha nostalgia di Dio, di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste”, evidenzia il Papa. Il credente “sa che il Vangelo non è un avvenimento del passato ma del presente”. E “la santa nostalgia di Dio ci permette di tenere gli occhi aperti davanti a tutti i tentativi di ridurre e di impoverire la vita. La santa nostalgia di Dio è la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura. Questa nostalgia è quella che mantiene viva la speranza della comunità credente che, di settimana in settimana, implora dicendo: «Vieni, Signore Gesù!»”.

È la stessa nostalgia che spinse l’anziano Simeone ad andare al tempio, “sapendo con certezza che la sua vita non sarebbe terminata senza poter tenere in braccio il Salvatore”. La nostalgia che spinse il figliol prodigo a tornare nelle braccia di suo padre, il pastore a lasciare le 99 pecore per cercare quella smarrita, la Maddalena ad andare di corsa al sepolcro e incontrare il Maestro risorto.

“La nostalgia di Dio ci tira fuori dai nostri recinti deterministici, quelli che ci inducono a pensare che nulla può cambiare”, rimarca il Santo Padre. “La nostalgia di Dio è l’atteggiamento che rompe i noiosi conformismi e spinge ad impegnarci per quel cambiamento a cui aneliamo e di cui abbiamo bisogno. La nostalgia di Dio ha le sue radici nel passato ma non si ferma lì: va in cerca del futuro”.

Come i Magi, “il credente ‘nostalgioso’, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio”, e lo fa anche “nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il suo Signore”. “Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare”.

Con questi sentimenti, i tre Magi si presentano in un Palazzo, pensando che è lì che si trovasse il “Era il luogo idoneo, perché è proprio di un Re nascere in un palazzo, e avere la sua corte e i suoi sudditi. È segno di potere, di successo, di vita riuscita”, commenta Francesco. “E ci si può attendere che il re sia venerato, temuto e adulato, sì; ma non necessariamente amato. Questi sono gli schemi mondani, i piccoli idoli a cui rendiamo culto: il culto del potere, dell’apparenza e della superiorità. Idoli che promettono solo tristezza, schiavitù, paura”.

In quel Palazzo inizia il cammino più lungo dei Magi. “Lì cominciò l’audacia più difficile e complicata. Scoprire che ciò che cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale – afferma Bergoglio -. Lì non vedevano la stella che li conduceva a scoprire un Dio che vuole essere amato, e ciò è possibile solamente sotto il segno della libertà e non della tirannia; scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona”.

“Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo”, prosegue il Santo Padre. “Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati e gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia”.

“Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!”, esclama il Papa. “Erode non può adorare perché non ha voluto né potuto cambiare il suo sguardo. Non ha voluto smettere di rendere culto a sé stesso credendo che tutto cominciava e finiva con lui. Non ha potuto adorare perché il suo scopo era che adorassero lui”. E nemmeno tanti sacerdoti hanno potuto adorare “perché sapevano molto, conoscevano le profezie, ma non erano disposti né a camminare né a cambiare”. Invece i Magi “poterono adorare perché ebbero il coraggio di camminare” e si prostrarono davanti al piccolo, al povero, all’indifeso, all’insolito e sconosciuto Bambino di Betlemme. E così “scoprirono la Gloria di Dio”.