Sant’Agostino
Il santo, a cui sono intitolati la nostra parrocchia e il nostro oratorio, nacque il 13 novembre del 354, da una famiglia di piccoli possidenti, a Tagaste, nel territorio dell’attuale Algeria, allora parte della provincia d’Africa dell’impero romano. Il padre, Patrizio, era seguace della religione pagana, ma si convertì verso la fine della vita; la madre, di nome Monica, era invece fervente cristiana e donna di alte qualità. Già da molti anni Costantino aveva concesso libertà di culto al Cristianesimo, ma solo nel 380 Teodosio l’avrebbe dichiarato religione ufficiale dell’impero. Monica era donna di fede incrollabile. Rimase sempre per il figlio una figura di riferimento insostituibile: gli trasmise i suoi valori, ma, almeno all’inizio, non il suo credo religioso.
Giovanissimo, si trasferì a Cartagine per studiare la “retorica”, ovvero l’arte del parlare e dello scrivere. Straordinariamente precoce d’intelletto, avido di sapere, era in cerca di un senso da dare alla sua esistenza. Aderì al Manicheismo, movimento religioso che vedeva l’universo dominato dal contrasto tra due potenze, Bene e Male (e quindi rifiutava l’idea di un Dio onnipotente). In seguito, si avvicinò alla filosofia dello stoicismo. Ma era sempre insoddisfatto, inquieto.
Nel 384 si recò a Roma e subito dopo giunse qui a Milano, dove tenne la cattedra di retorica. L’incontro con Ambrogio, dal 373 vescovo della città, lo portò a mettersi in discussione sotto tutti gli aspetti. Il suo travaglio interiore aumentò d’intensità fino a esplodere. Così lo racconta nelle Confessioni.
<<Mandavo gemiti imploranti pietà: “Fino a quando, fino a quando: domani, domani? Perché non subito? Perché non in questo stesso istante non finirla con la mia vergogna?” Parlavo e piangevo, gonfio il cuore di amarissima contrizione. Ed ecco dalla casa vicina mi giunge canterellata una voce –di bambino o di bambina, non so- che ripeteva a guisa di ritornello: “Prendi, leggi; prendi leggi”>>. Allora prese un libro lì a portata di mano, contenente le Lettere di San Paolo, l’aprì a caso e lesse: <<Non nella crapula e nell’ubriachezza, non nelle impudicizie del letto, non nella discordia e nell’invidia: rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.>> (Romani, XIII, 13-14). Da quel momento decise d’intraprendere una vita di castità e preghiera.
Nel 387 abbracciò definitivamente il Cristianesimo e fu battezzato da Ambrogio. L’anno successivo, rientrò a Tagaste. Vendette tutti i suoi beni e costituì una comunità di vita religiosa.
Nel 391, fu ordinato sacerdote da Valerio, vescovo di Ippona. In questa nuovo insediamento ricreò in forma più ampia la sua comunità, che sarebbe stata modello agli ordini monastici medievali. Nel 395 fu consacrato vescovo, dietro insistenza della popolazione locale. L’anno seguente, morto Valerio, gli subentrò nella guida della chiesa di Ippona.
Parallelamente, continuava la sua attività intellettuale. Sostenne la polemica contro gli eretici, i Pelagiani e i Donatisti, e contro i seguaci della vecchia religione romana, che imputavano ai Cristiani la causa dei mali che, in quegli anni, colpivano l’impero.
Morì nel 430, mentre le genti germaniche dei Vandali, discese dal nord, stavano assediando Ippona. La salma del Santo, alcuni secoli dopo, fu trasferita da San Fulgenzio a Cagliari; in seguito portata a Pavia, dove riposa tutt’ora nella Basilica Agostiniana.
Sant’Agostino d’Ippona ha posto le fondamenta del pensiero cristiano, riallacciandosi alla filosofia greca e rielaborandola in una nuova dimensione spirituale. Nella sua immensa produzione letteraria, spiccano due testi: “Le confessioni” e “De civitate Dei” (La città di Dio). La prima, poema di glorificazione di Dio misericordioso, è un resoconto del suo cammino spirituale; la seconda è un trattato sul significato della vita e della funzione dei credenti in questo mondo.