Solidarietà familiare
SOLIDARIETA’ FAMILIARE
Da parecchi anni, nella nostra parrocchia, esiste una bella iniziativa chiamata solidarietà familiare. E’ nata più di cinquant’anni fa per iniziativa di un parroco particolarmente illuminato e sensibile, don Gianni Sangalli.
Si propone di aiutare le famiglie della parrocchia che attraversano momenti di difficoltà: perché hanno perso il lavoro, o la casa, o sono in gravi condizioni di malattia.
Un Gruppo di Ascolto, che si ritrova al mercoledì e al venerdì mattina, dalle ore 9.00 alle ore 12.00, insieme al Parroco, esamina con scrupolo le richieste, in modo che la generosità vada realmente a buon fine.
In questi anni le famiglie della parrocchia hanno sempre risposto generosamente e senza clamore agli appelli dei vari parroci che si sono succeduti per questa bella iniziativa.
A conferma del sin qui detto citiamo la testimonianza di una persona che ci ha inviato una lettera: “Sono commossa dall’amore che voi mi avete manifestato in più occasioni. Non so nemmeno come ringraziarvi. Dio ha voluto provarmi in molti modi: sofferenza, malattia e povertà. Nello stesso tempo mi ha circondato di affetto e di gesti di amore. Per questo grazie.”
Dobbiamo continuare questa iniziativa. Ora più che mai. Anzitutto sostenendoci a vicenda. Queste le modalità:
- Segnalando quelle situazioni di emergenza presenti in Parrocchia e che noi non conosciamo (persone sole, ammalate, in difficoltà)
- Dando la propria disponibilità per un’ora o due alla settimana per incontrare queste persone.
- Sostenendo questa iniziativa anche economicamente. Lo si può fare mettendo il proprio contributo in una busta sigillata su cui scrivere SOLIDARIETA’ FAMIGLIARE e ponendola nella cassetta delle offerte all’ingresso della Basilica.
Solidarietà familiare – dicembre 2017
Laicità o laicismo?
Il Natale messo al bando dalla scuola? Laicismo senza ragioni. Anche in Italia abbiamo bisogno di riscoprire la libertà religiosa. Per tutti, nessuno escluso.
Ogni anno, in prossimità delle feste natalizie, ritornano con un tempismo perfetto prese di posizione che si rifanno al laicismo più becero. Un giorno è la scuola materna che vieta il nome Gesù nei canti natalizi; un giorno è il dirigente scolastico che, appellandosi a circolari varie, fa togliere dalla scuola le fotografie del papa o proibisce di allestire il presepio per non urtare i bambini che appartengono ad altre religioni…
È triste pensare e considerare in questo modo la religione, che di per sé, con la sua ricerca di assoluto, manda messaggi di unità e non di divisione. Fa male constatare la presenza di persone che percepiscono la fede come un fattore disgregante. La religione, in questo caso il cristianesimo, appartiene alla nostra comunità, così come l’induismo appartiene all’India o l’islam al Pakistan.
Inutile ricordare che la religione è anche un fatto sociale che penetra nella cultura di un Paese. Basta vedere il vissuto quotidiano nel quale si incarnano il linguaggio, il calendario ecc.. Poi ognuno è libero di credere in quello che vuole, ma non può pensare che credere in un Dio che si è fatto uomo possa creare chissà quale sconquasso.
Sono d’accordo con chi afferma che la laicità non esiste, esiste la libertà religiosa. Non possiamo e non dobbiamo fare la fine della Francia dove i simboli religiosi vengono quasi banditi.
La libertà religiosa è veramente altro dal “non dire” per “non urtare ”. L’umanità che si dimentica di Dio diventa meno umana.
Milano 7 dicembre 2017
Don Virginio Ferrari Parroco
Solidarietà familiare – novembre 2017
Nel 2017 il tasso di disoccupazione, in Italia, ha sfiorato i 9 punti percentuale e nel primo trimestre dell’anno l’INPS ha visto crescere del 45 per cento le domande di indennità di disoccupazione. A trovarsi a casa, da un giorno all’altro, sono soprattutto i giovanissimi e la fascia di età tra i 40 e i 55 anni, i più penalizzati nel momento in cui desiderano reinserirsi nel mondo del lavoro. Il primo pensiero, parlando di disoccupazione, va alla mancanza di una fonte sicura di reddito ma non è questa l’unica conseguenza: la perdita del proprio ruolo di elemento attivo della società ha ricadute importanti in ordine alla vita della famiglia e alla dignità delle persone. Riporto qualche stralcio di una lettera che ho ricevuto in questi mesi e sulla quale ho lungamente meditato.
“Buongiorno don, mi chiamo ….………., 42 anni e ho un disperato bisogno di aiuto… Sono da più di un anno senza un lavoro, a maggio sono stato sfrattato da casa, perché purtroppo non potevo più permettermi di pagarla, e ad oggi mi trovo in una sistemazione precaria, essendo costretto a dormire insieme a mia nonna che ha 89 anni, per non andare sotto un ponte o alla stazione centrale. Vedendomi disperato, la nonna mi ha accolto a braccia aperte e grazie a lei e alla sua pensione di 750 euro riusciamo a sopravvivere!! I rapporti con mia moglie sono entrati in crisi. Io sono sempre teso e nervoso. Lei e mio figlio sono tornati dai nonni. Sto vivendo un periodo di disperazione. Chiedo solo la possibilità di lavorare ed essere un cittadino onesto e poter guardare ancora in faccia mio figlio di 7 anni e donargli un sorriso… Ringrazio di cuore lei don Virginio e tutti quelli che al momento mi sono vicini e mi hanno dato una mano.”
Davanti a queste situazioni ci si sente davvero impotenti. Noi non possiamo fare molto. Quel poco che facciamo però è fatto a Dio: “Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere: e tu mi hai aiutato. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! ”
Un cordiale saluto nel Signore.
Milano 7 novembre 2017
Don Virginio Ferrari Parroco
Solidarietà familiare – ottobre 2017
La famiglia: primo luogo di educazione
Credo sia opinione di tutti che non si possa che partire dalla famiglia per riflettere seriamente sulla vita e sull’educazione.
Angelo Giuseppe Roncalli, che diventerà papa con il nome di Giovanni XXIII, in occasione del suo compleanno scrisse ai genitori: “Cari papà e mamma, oggi il mio pensiero corre spontaneamente a voi: compio gli anni e desidero dirvi un grande grazie. Voi con la vostra vita mi avete insegnato le cose fondamentali. Tutto quello che ho imparato nei miei anni di studio è solo un povero commento di quello che voi mi avete insegnato in quei bellissimi anni a Sotto il Monte. Per questo, grazie”.
E’ anche la nostra esperienza. La famiglia non può delegare a nessuno il compito educativo. Può farsi aiutare dalla scuola, dalla Parrocchia e dall’oratorio. Non può però farsi sostituire. Uno degli aspetti più critici nell’educazione, oggi, mi sembra quello legato all’esercizio dell’autorità. In questi ultimi decenni, con riferimento ai giovani, si è scritto di “orfani di genitori viventi”, di “generazione senza padri”, ecc. per sottolineare l’emergere vistoso di un problema educativo: l’abdicazione dell’adulto ai ruoli educativi che gli competono.
Può capitare che in alcuni genitori sia rimasta anche solo una ipersensibilità, un’allergia all’autorità, tanto da creare un sensibile imbarazzo ogni volta che devono farvi ricorso o esercitarla nei confronti dei figli. L’autorità, pensata come esperienza sgradevole, sembrerebbe contrastare con l’affetto per il figlio. Poiché l’amore “genitoriale” sembra essere il valore sommo, la sgradevole autorità viene facilmente messa da parte. A questo punto avviene un rovesciamento di posizioni, al comportamento “genitoriale” si sostituisce un comportamento “amicale”: comportarsi come gli adolescenti: stesso linguaggio, stessi vestiti; per una sorta di giovanilismo non avere mai il coraggio di contraddire nemmeno davanti ad errori evidenti; difenderli sempre e comunque (se a scuola vanno male la colpa è degli insegnanti, o dei cattivi compagni, ecc…).
Questo comportamento però alla fine provoca gravi danni al ragazzo: la perdita di precisi punti di riferimento per valutare la realtà e decidere il proprio comportamento.
In realtà nessun ragazzo non può fare a meno dell’autorità, come l’automobilista non può fare a meno delle righe bianche sull’asfalto o del guard-rail.
Il vero problema non consiste nell’eliminare l’autorità-autorevolezza, quanto nel modo di gestirla. Nel suo significato etimologico infatti la parola autorità indica la capacità di far crescere il giovane.
Milano 5 ottobre 2017
Don Virginio Ferrari Parroco
Solidarietà familiare – Settembre 2017
Smartphone cannibali !!! Creano dipendenza
La crescita degli smartphone, nei dieci anni dal loro ingresso sul mercato, è stata del 536 per cento: nel solo 2016 ne sono stati acquistati 1,6 miliardi. Probabilmente gli smartphone hanno sostituito anche le sigarette: molte situazioni d’attesa e d’imbarazzo, già impegnate accendendo le bionde, ora sono risolte, fingendo chissà quali urgenze, nel compulsare il proprio schermo con il dito indice della mano destra. In pratica, gli smartphone stanno cannibalizzando il mercato. Nella storia della tecnologia, non esiste nessuno strumento che si sia diffuso così pervasivamente con tale rapidità.
Di pari passo procede la dipendenza da smartphone.
L’abuso genera veri e propri effetti collaterali indesiderati, come stress, perdita di empatia, depressione, disturbi del sonno e dell’attenzione, incapacità di concentrarsi e di riflettere, mancanza di autocontrollo e di forza di volontà. I bambini, in particolare quelli che non sanno né leggere né scrivere, sono danneggiati nelle proprie capacità sensoriali, mentre bullismo e criminalità informatica completano il quadro della situazione. Si potrebbe affermare che stiamo vivendo uno stadio nell’evoluzione (o involuzione?) della specie: dall’homo sapiens all’«homo cellularis». Basta guardarsi in giro per la strada, oppure sul treno o sulla metropolitana, dove la stragrande maggioranza dei viaggiatori si mostra perennemente impegnata nel muovere le dita delle mani sul proprio smartphone, diventato un muro dietro il quale proteggersi, o nascondersi dagli altri, dal mondo, anche da se stessi. Così si evita di guardarsi in faccia: di mezzo c’è sempre uno schermo. Il telefono cellulare, un apparecchio nato, all’origine, per le chiamate d’emergenza, è diventato ora uno strumento universale con innumerevoli e sempre aggiornate applicazioni. Comodo? Sì, forse fin troppo.
Non sarebbe meglio ritornate alla freschezza del dialogo e delll’incontro?
Milano 10 settembre 2017
Don Virginio Ferrari Parroco
Solidarietà familiare – Aprile 2017
Papa Francesco a Milano: una carezza di Dio.
Carissimi amici, abbiamo ancora negli occhi e nel cuore le immagini e le parole che Papa Francesco ci ha regalato in occasione della sua visita a Milano il 25 marzo scorso. In particolare la sua dolcezza e la sua attenzione nei confronti dei poveri, degli ultimi, dei carcerati e degli immigrati, dei bambini, degli anziani e degli ammalati.
«Vi ringrazio dell’accoglienza. Io mi sento a casa con voi», ha detto papa Francesco ai 130 detenuti e detenute che dalle 10.30 lo attendevano nella “rotonda” di San Vittore. E poi ha aggiunto: «Gesù ha detto: “Ero carcerato e tu sei venuto a visitarmi”. Voi per me siete Gesù, siete fratelli. Io non ho il coraggio di dire a nessuna persona che è in carcere: “Se lo merita”. Perché voi e non io? Il Signore ama me quanto voi, lo stesso Gesù è in voi e in me, noi siamo fratelli peccatori. Pensate ai vostri figli, alle vostre famiglie, ai vostri genitori. Voi che siete il cuore di Gesù ferito». Il desiderio di tutti i carcerati, ha detto una donna, «è di tornare a vivere la nostra vita quotidiana, lavorare e rientrare a casa la sera in famiglia. Siamo peccatori come tutti, ma capaci di provare sentimenti come ogni essere umano». Poi ha concluso: «Prega per noi e per le nostre famiglie». Il detenuto che ha parlato subito dopo ha chiesto al Papa di pregare «per coloro ai quali abbiamo fatto del male perché possano perdonarci». Ha chiesto preghiere «perché cessino le ingiustizie, le persecuzioni, le violenze, le discriminazioni razziali…».
Ha ringraziato anche il mondo del volontariato: «Grazie a tutti i volontari che ci aiutano, che portano speranza e amore. I volontari sono vicini ai detenuti senza pregiudizi».
Il Papa ha stretto le mani a tutti. Il commento dei detenuti al termine della visita è stato: «Per qualche minuto non ci siamo sentiti in carcere, ma uomini liberi».
Grazie, Santo Padre, per aver ridato speranza e gioia a tanti sofferenti.
Grazie perché per molti di loro sei stato “una carezza di Dio”.
Aiuta anche noi ad essere capaci di fare lo stesso.
Un saluto cordiale unito agli auguri più belli di buona Pasqua di Resurrezione.
Milano 10 aprile 2017
Don Virginio Ferrari Parroco
Solidarietà familiare – Marzo 2017
E’ iniziato domenica 5 marzo il tempo della quaresima: quaranta giorni che ci preparano alla Pasqua. Un tempo particolare nel quale la Chiesa ancora una volta ci invita alla conversione, una parola che sentiremo ripetere di frequente in questi giorni. E’ vero che ciascuno di noi ha un suo carattere. E’ importante anche conoscersi ed accettarsi serenamente, ma bisogna pure fare in modo che qualcosa in noi possa cambiare, migliorare. Quando in un corpo le cellule non si riproducono più subentra la necrosi. Questo può capitare anche nella vita spirituale.
Non ci può essere alcuna conversione quando uno fa pace con se stesso e con i suoi difetti. E’ la morte spirituale. Non dobbiamo chiederci se sia necessario convertirci o no. E’ evidente che tutti abbiamo bisogno di conversione.
Il segreto della vita consiste proprio nel non sentirsi mai degli arrivati, ma sempre uomini in cammino. Uno muore quando non cambia più.
Per sostenerci in questo cammino la Chiesa ci suggerisce tre atteggiamenti:
il digiuno ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po’ della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, aiuta a perdere peso, ma per noi credenti è in primo luogo una “terapia” che aiuta a diventare padroni di noi stessi, per essere davvero liberi dalle cose.
la preghiera poi è il segreto della vita cristiana. Non ci può essere alcuna conversione che non parta dall’incontro personale e profondo con il Signore. E’ solo stando con Lui che nasce in noi il desiderio di rassomigliarGli un poco, di potere essere anche noi, come Lui, capaci di dare la vita per i fratelli. Chi non ha trovato Dio non può dare niente ai fratelli.
l’elemosina infine non consiste nel dare qualche centesimo al ragazzo che lava i vetri al semaforo o chiede la carità fuori dalla porta della chiesa. In greco “eleos” indica il sentimento di intima commozione, la compassione, la pietà, il contrario dell’invidia per la fortuna del prossimo; indica il farsi carico del fratello che è in difficoltà perché anziano, ammalato, solo, dimenticato da tutti.
Il Signore ci aiuti a ritornare a Lui. Don Bosco vi benedica.
Milano 10 marzo 2017
Don Virginio Ferrari Parroco
Solidarietà familiare – Febbraio 2017
Il giorno cominciava a declinare e i dodici, avvicinatisi a Gesù, gli dissero: «Lascia andare la folla, perché se ne vada per i villaggi e per le campagne vicine per trovarvi cena e alloggio, perché qui siamo in un luogo deserto». Ma egli rispose: «Date loro voi da mangiare». Ed essi obiettarono: «Noi non abbiamo altro che cinque pani e due pesci; a meno che non andiamo noi a comprare dei viveri per tutta questa gente». Perché c’erano cinquemila uomini. Ed egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di una cinquantina». E così li fecero accomodare tutti. Poi Gesù prese i cinque pani e i due pesci, alzò lo sguardo al cielo e li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli perché li distribuissero alla gente. Tutti mangiarono a sazietà e dei pezzi avanzati si portarono via dodici ceste. (Lc. 9,12-17)
Carissimi amici,
il brano di Luca qui riportato presenta l’attività di Gesù in Galilea, che raggiunge il vertice con l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Dice Luca che la folla presente era di circa cinquemila uomini e dopo che Gesù ebbe compiuto il miracolo e tutti furono saziati avanzarono dodici ceste di cibo. Certamente l’Evangelista vuole sottolineare la potenza di Gesù, in grado di operare miracoli, ma la sua attenzione non vuole soffermarsi solo sul miracolo in se stesso. Gesù non si limita a fare miracoli: sembra voler inaugurare uno stile nuovo anche per i suoi discepoli.
Anche i discepoli infatti si accorgono dei bisogni della gente e ne parlano col Maestro:
«Congeda la gente perché vada nei villaggi e nelle campagne intorno per alloggiare e trovar cibo». Ma a Gesù questo non basta:
«Dategli voi stessi da mangiare». Gesù invita i discepoli a farsi carico dei fratelli in difficoltà.
“Ma abbiamo pochissimo. Pochi pani e due pesci”. “Non importa – sembra dire Gesù – non è necessario possedere molto“
Le cose che possiedi – fossero pure soltanto cinque pani e due pesci – sono doni di Dio, da condividere con gli altri. Non solo quello che abbiamo dobbiamo condividerlo con i fratelli, anche quello che siamo: le nostre doti, il nostro tempo, la nostra vita.
Il Signore ci aiuti a fare di tutta la nostra vita un dono per gli altri, come ha fatto Gesù. Don Bosco, Padre e maestro, vi benedica.
Milano 10 febbraio 2017
Don Virginio Ferrari Parroco