Venerabile Attilio Giordani
Molti degli attuali parrocchiani hanno conosciuto Attilio Giordani. Si può dire che nel corso degli anni abbia infuso linfa vitale alla parrocchia.
Nato nel 1913, figlio di un ferroviere proveniente dal Friuli, nel quartiere di casette monofamigliari costruite appositamente per i dipendenti delle ferrovie, si fece notare fin da ragazzo per il suo attivismo in oratorio. A 17 anni era delegato parrocchiale e diocesano.
All’entrata dell’Italia nella II guerra mondiale, fu arruolato in artiglieria e inviato in Grecia sul fronte che Mussolini aveva sconsideratamente aperto con esiti disastrosi per i nostri soldati. Di quel periodo, ha lasciato un diario pieno di umanità. Dopo tre mesi, si ammalò gravemente e fu rimandato in Italia.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’esercito italiano si dissolse. Per sottrarsi ai nazisti, Attilio entrò nella clandestinità e, a capo di un gruppo di commilitoni, si rifugiò sulle montagne del lecchese. Pure, quando poteva, tornava a Milano, per chi aveva bisogno di lui. E proprio in questa situazione di rischio e incertezza, sposava, nel maggio 1944, la ragazza della sua vita, Noemi Davanzo, celebrante il parroco Don Lajolo.
Nella Milano del dopoguerra che si stava riprendendo, Attilio portava la sua personalità gioiosa e la sua vitalità inesauribile. Il suo carisma si manifestava negli svariati compiti di membro della comunità di fedeli.
Il catechista – Insegnava ai ragazzi proprio con lo stile di Don Bosco. La sua pacatezza e gentilezza li conquistava tutti. Quelli più turbolenti venivano mandati da lui. La sua classe arrivava a comprendere fino a più di 60 allievi (altro che classi-pollaio…).
L’educatore – Queste sue capacità gli permettevano di toccare il cuore dei ragazzi più disagiati, di guardare dentro di loro al di là delle apparenze. Don Luigi Melesi, per tanti anni cappellano del carcere di San Vittore, racconta che, quand’era direttore dell’istituto salesiano di Darfo (provincia di Brescia), Attilio gli portò un ragazzo, figlio di immigrati meridionali, che pareva un buono a nulla. Ottenne che divenisse ospite dell’istituto, offrendosi di pagare la retta, perché sentiva che si poteva cavar fuori qualcosa da lui. Col tempo, il ragazzo imparò un mestiere. Da adulto, si è fatto imprenditore ed è diventato lui, una persona in grado di aiutare gli altri.
L’animatore – Tutte le testimonianze parlano del suo estro nell’inventare sempre nuovi giochi per tener vivo l’interesse dei ragazzi, o nel comporre canti per rallegrare l’ambiente. Si dava da fare specialmente nel preparare spettacoli nel teatro della parrocchia. Più che scrivere copioni, preferiva improvvisare. Lo si ricorda come un comico irresistibile.
Ma il suo maggior successo era la “Crociata della Bontà”, benedetta dall’arcivescovo di Milano Montini, il futuro papa Paolo VI. Questa iniziativa fu ripresa in altre città d’Italia, e anche all’estero. Il patriarca di Venezia Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, dichiarò: “La Crociata della Bontà ha avuto una penetrazione nei bambini e una risonanza nei fedeli quale non avrei mai immaginato”.
L’uomo di carità – Usciva per la strada a cercare le persone bisognose d’aiuto, e si portava dietro i suoi ragazzi perché toccassero con mano la dura realtà. Si mobilitava per procurare ai barboni che incontrava un’assistenza, un lavoro, o un appartamento.
Il laico – Ma al di fuori della parrocchia viveva la sua vita quotidiana di impiegato presso la Pirelli. E non esitava a portare la sua testimonianza di Cristiano anche sul luogo di lavoro. Sempre don Melesi riferisce il racconto di un ex-lavoratore della Pirelli su un episodio avvenuto durante l’Autunno Caldo. Gli operai dell’azienda erano in sciopero. Attilio andò all’Assemblea Generale, dominata dai “rossi”, e prese la parola. All’inizio si prese bordate di fischi, alla fine ricevette applausi scroscianti.
Il padre di famiglia – Uno potrebbe chiedersi come facesse Attilio, con tutte queste cose da seguire, a dedicarsi alla famiglia. La testimonianza dei figli Pier Giorgio, Maria Grazia, Paola è limpida: <<Quando papà entrava in casa, era tutto nostro; non portava in casa le tensioni di fuori. Era sereno, disponibile, non chiuso; era qualcosa di “nostro”>>
All’inizio degli anni ’70, i figli decisero di trasferirsi in Brasile, nell’ambito dell’Operazione Mato Grosso, promossa da don Ugo De Censi. Nel ’72, malgrado la salute malferma (una decina d’anni prima aveva avuto un infarto) Attilio li seguì in compagnia di Noemi.
Il 18 dicembre dello stesso anno, giunse a Campo Grande, capitale del Mato Grosso, per partecipare a un convegno dei missionari. Stava esponendo la propria relazione, quando dette segni di mancamento. Mormorò a Pier Giorgio, accanto a lui, <<Continua tu>>. Poco dopo, il suo cuore si era fermato. Le sue ultime parole sono considerate il suo testamento spirituale: <<Continua tu>>.
La sua tomba, all’interno della chiesa parrocchiale Sant’Agostino in Via Copernico 9, è un luogo di raccoglimento e un simbolo-guida per la comunità.